Articolo 18, quante nefandezze! Il vero obiettivo è colpire i lavoratori protetti

 

Il licenziamento per motivi economici esiste dal 1966 e prevede solo un indennizzo, per le imprese con meno di 15 dipendenti. Si chiama “giustificato motivo oggettivo”, ma deve essere dimostrato dal datore di lavoro davanti ad un giudice. Ed è proprio questo che si vuole abolire, dando piena libertà di sostituire lavoratori protetti con giovani precari

I giornali della destra esultano: “Monti come Berlusconi” titola oggi “Il Giornale”, incitando l’attuale premier a dare l’ultima mazzata ai sindacati che, secondo questo foglio, sono il vero male dell’Italia. Ma Monti sembra già convinto da par suo, visto che in questi giorni sta insistendo nel dire che gli investitori stranieri non vengono in Italia proprio per colpa dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. L’ennesima bugia di Stato, pronunciata ancora più colpevolmente da un personaggio come il premier che dovrebbe intendersene, visto che insegna da un quarantennio e ad altissimi livelli, l’economia politica.

IL LICENZIAMENTO ECONOMICO ESISTE. Per fortuna che in Italia non ci sono solo docenti universitari come Mario Monti. Antonio Vallebona, professore di diritto del lavoro a Roma-Tor Vergata,  nonché avvocato giuslavorista, ha spiegato a “Sky TG-24” quello che l’autore di questo articolo, molto più modestamente, sta ripetendo da mesi: «In Italia il licenziamento per motivi economici esiste da sempre (in realtà, esiste dal 1966). Per più di cinque addetti è un licenziamento collettivo, sotto quella soglia è un licenziamento individuale e si chiama ‘giustificato motivo oggettivo’». Il vero problema, dice Vallebona, non è dunque introdurre una nuova categoria di licenziabilità ma i tempi della giustizia. Perché un datore di lavoro possa sapere se il licenziamento è giusto o no deve attendere anni e nel frattempo pagare il salario al dipendente. È molto probabile che siano i tempi lunghissimi della giustizia a scoraggiare gli investimenti stranieri, non l’articolo 18.

COSA AFFERMA LA GIURISPRUDENZA. L’altra mistificazione che la destra contrabbanda nel suo poco onorevole compito di manomettere il sistema del diritto del lavoro faticosamente costruito in un secolo e mezzo nel nostro Paese è che i giudici danno sempre ragione ai lavoratori. Non è affatto vero. Al contrario, ci sono tantissime sentenze, sia di merito e sia di legittimità (cioè emesse dalla Cassazione, il supremo organo giurisdizionale) che ammettono la possibilità di un licenziamento individuale dettato dalla necessità di “contrarre i costi” a seguito di una crisi del settore o di operare un “risparmio di spese”. Ciò che i giudici non ammettono è che il datore di lavoro, a fronte di una crisi, possa liberarsi semplicemente del dipendente anche quando può inserirlo in un altro comparto produttivo. Per i licenziamenti collettivi, un’altra legge dello Stato (legge n. 223/1991) dispone che il datore di lavoro debba individuare i lavoratori soggetti al licenziamento in accordo con le rappresentanze sindacali.

PERCHÉ ALLORA ABOLIRE L’ARTICOLO 18? L’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori prevede che, nelle imprese con più di 15 dipendenti, se il lavoratore è licenziato senza giusta causa o giustificato motivo, debba essere reintegrato nel posto di lavoro o, in alternativa, indennizzato con una somma non superiore a quindici mensilità, oltre al risarcimento del danno. Ora, è proprio questa disposizione che si vuole abolire ma bisogna comprendere la vera ragione di ciò. Essa non può essere quella che la destra e il Governo di professori poco accorti sostengono, perché in Italia c’è la possibilità di licenziare per motivi economici, cioè quando l’impresa è in sofferenza e il dipendente non possa essere utilizzato in qualsiasi altra sua unità produttiva. La vera ragione è quella che loro stessi ripetono da anni e che è, al tempo stessa, ridicola e tragica. Ridicola, perché affermano che i lavoratori giovani sono discriminati rispetto agli anziani perché hanno meno tutele e quindi concludono non nell’unico modo logico possibile (estendiamo le tutele anche ai giovani) ma in quello che appartiene alla loro “cultura” da padroni delle ferriere (aboliamo le tutele a chi ce l’ha). Tragica perché togliere le sicurezze ai lavoratori che ancora ce l’hanno significa aggravare la crisi economica e le incertezze delle aspettative, indebolendo ancora di più i consumi e quindi la domanda interna.

IL VERO OBIETTIVO. Soltanto uno stupido, dunque, può credere alle “ragioni economiche” così contrabbandate che motiverebbero la “riforma del mercato del lavoro”. La vera ragione, tipica del capitalismo selvaggio tanto amato dai Sallusti e dai Belpietro, è quella di favorire la formazione di lavori ultra-precari, con pochi ammortizzatori sociali (soprattutto senza reddito minimo garantito dallo Stato) che presenta però la necessità di sostituire la “vecchia forza lavoro” garantita con quella più giovane e sottopagata. Insomma, l’obiettivo è quello che già Karl Marx aveva individuato nel 1864: il consolidamento di un esercito proletario di riserva per l’industria, mediante il quale stabilizzare un regime di salari di sopravvivenza, accrescendo in questo modo profitti e rendite. Mario Monti e il suo governo servono essenzialmente a questo.

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