Formigoni sempre più nei guai. Quei cattolici che amano i mercanti nel tempio

Il contrario di quanto predicava Gesù Cristo. La vita dispendiosa, le vacanze da sogno, la passione per gli yatch del Governatore lombardo renderanno più facile al cammello passare per la cruna di un ago

ROMA – Una recente e dettagliata indagine ha evidenziato come, nel mondo e soprattutto in Italia e fra le giovani generazioni, siano sempre di meno i credenti nella confessione cattolica romana. Se si seguono le vicende di Roberto Formigoni e dei militanti di «Comunione e liberazione» lombardi si comprende facilmente il perché. Una bufera di rivelazioni su comportamenti, stili di vita ma, soprattutto, sugli affari di imprenditori legatissimi al governatore, che occupa la medesima poltrona da oltre diciassette anni, stanno disegnando all’opinione pubblica quali siano i poco “celesti” interessi del gruppo confessionale creato da don Giussani.

LE ACCUSE. Ora come ora Formigoni non è accusato di nulla ed infatti lui protesta la sua estraneità a qualsiasi ipotesi di reato. Ma sono in carcere due imprenditori a lui vicinissimi, Pierangelo Daccò, indagato dalla magistratura per il crac del San Raffaele e per la distrazione all’estero dei soldi della Fondazione Maugeri e l’ex assessore regionale alla sanità Antonio Simone, indagato anche lui per la distrazione di fondi dalla Fondazione Maugeri. Tanto vicino agli incarcerati che il direttore amministrativo della Fondazione Costantino Passerino ha dichiarato ai magistrati di aver stipulato contratti fittizi di consulenza con Daccò perché questi era «uomo di Formigoni». Questi contratti di consulenza, in realtà, erano stipulati con società altrettanto fittizie, scatole vuote che servivano per veicolare fondi all’estero per un totale, secondo la magistratura, di 56 milioni che poi entravano nella disponibilità di Daccò e Simone.

LE ACCUSE DI CARLA VITES. Il Celeste Governatore non sta facendo una bella figura. Protesta la sua assoluta estraneità ai fatti corruttivi ma entra in ballo una donna, come in tutte le pochade che si rispettino. È la consorte di Antonio Simone, Carla Vites, 54 anni, da tempo militante di «Comunione e Liberazione» e cristianamente sodale del gruppo di poco francescani amici di Formigoni, che mentre il marito si “gode” il fresco di San Vittore, vede il Celeste beatamente stravaccato su una poltrone della fiera del mobile a Milano e decide di scrivere una lettera al «Corriere della sera». L’imbufalimento della donna si capisce subito: «Da privata cittadina – spiega la donna – e soprattutto da militante ciellina della prima ora non ho potuto trattenermi dal pormi una serie di domande, anche perchè, pur essendo una persona qualunque, la sorte mi ha riservato una conoscenza ravvicinata con l’attuale Governatore della Regione Lombardia». Carla Vites smentisce la pretesa del Celeste secondo cui Daccò non era proprio un suo amico, avendo rapporti più che altro con l’assessorato. Nei locali costosissimi in Sardegna, «era possibilissimo ammirare il nostro Governatore seguire come un cagnolino al guinzaglio di Daccò». Formigoni non riceveva soldi, continua ancora la moglie di Simone, perché «a lui bastava l’onore di essere al centro di feste e banchetti, yacht e ville». Insomma, una sorta di vanesio che aveva perso letteralmente la testa per la bella vita e le costose vacanze ai Caraibi.

UN GOVERNATORE POCO CELESTE. Il lato opaco della faccenda salta subito agli occhi. Può il Presidente della Regione Lombardia farsi pagare vacanze in resort da centinaia di migliaia di euro (si tratta de «L’Altamer» di Anguilla, ai Caraibi), abituale luogo di villeggiatura di sceicchi e calciatori, da imprenditori della sanità che lavorano a tempo pieno con le strutture amministrate dalla Regione? Formigoni si è giustificato, consapevole anche lui che una tale ipotesi non è configurabile, asserendo che si trattava di vacanze di gruppo in cui ognuno paga qualcosa e poi, alla fine, si fanno i conti e si operano le compensazioni fra chi è in credito e chi è in debito. Formigoni dice: «Le vacanze me le sono pagate con il mio stipendio».

NON C’È CRISI PER I CATTOLICI ALLA FORMIGONI. Possibile che nessun frequentatore del Celeste, nessun credente in don Giussani, nessun militante di «Comunione e liberazione» abbia nulla da dire su questo modo di concepire la fede cristiana? Possibile che, nel pieno di una crisi che produce suicidi e lascia sul lastrico decine di migliaia di lavoratori, il governatore cattolico della Lombardia, allievo prediletto di don Giussani, non si ponga alcun problema a trascorrere le vacanze di capodanno in un posto da sogno che costa dai 60 mila euro in su a settimana? Ammesso pure che tutto ciò su cui indaga la magistratura lasci Formigoni del tutto indenne da qualsiasi reato, sarà il caso ancora di considerarlo come «una risorsa per il Paese», insieme alle sue passioni sfrenate verso il lusso, gli yatch, i Caraibi? È questa la fede che il Papa e le gerarchie cattoliche prediligono, insieme a quella professata dagli appassionati di spettacolini da “burlesque” nella propria miliardaria magione di Arcore?

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