ROMA – Si infittiscono come non mai le false affermazioni sulla “persecuzione giudiziaria” del Cavaliere da parte dei suoi deputati e avvocati. Sono, per l’esattezza, diciassette anni che il mantra ossessivo batte, perfino con le stesse locuzioni, su questo punto ozioso e che la realtà effettuale mostra di lampante erraticità. A nulla sono valse date, comparazioni, didattiche giuridiche che evidenziano come, in realtà, le “assoluzioni” piene per Berlusconi, nei pochi processi che sono giunti al termine, sono pochissime. Ma ciò non è valso a nulla. In tutte le trasmissioni televisive e negli editoriali della stampa che lo difende si ripete comunque lo stesso mantra, che consiste in questo: “Dal 1994, dalla sua discesa in campo, Silvio Berlusconi è stato oggetto di una ripetuta ed ossessiva persecuzione da parte di alcuni magistrati, in combutta con i comunisti e un giornale, desiderosi di ribaltare il risultato elettorale. In realtà, egli è stato sempre assolto e si sono dimostrate false le accuse imbastite dai pm”.
L’impressione generale è che, oramai, nemmeno più i suoi elettori ci credano e che il problema si sposti sul piano della convenienza. In altri termini, il moderatismo italiano, a lungo attratto elettoralmente dalla Democrazia Cristiana, oggi non trova altro sbocco che il partito berlusconiano. A tale esigenza – interpretata come uno stato di bisogno – non fa da correttivo la malandata condotta di vita del Cavaliere (quindi un apporto strettamente morale o etico), né le sue vicende giudiziarie, considerate come una ineluttabile fatalità in un Paese dove la politica da sempre esprime personaggi al limite fra condotte malavitose e spregiudicatezza interiore.
Gli stessi sondaggi mostrano questa lampante evidenza: allo stato attuale, gli scandali sessuali del Cavaliere non incidono per niente sulla sua tenuta elettorale, dato che il suo partito viene dato ad oltre il 30% dei suffragi, in forte calo, certo, rispetto al 2008 ma pur sempre il primo partito in assoluto. Rispetto al periodo di “Mani pulite” si tratta di un cambiamento sostanziale. Come suggerisce il sondaggista Nando Pagnoncelli, si è modificata l’interpretazione dei fatti politici da parte degli italiani: mentre nei primi anni Novanta essi ritenevano giunto il momento in cui la cosiddetta “rivoluzione giudiziaria” avrebbe realmente modificato lo “status quo” e personaggi come Antonio Di Pietro erano popolarissimi, oggi l’elettorato medio ha molto meno fiducia nei magistrati – visti come “attori” del sistema, non parti terze ed oggettivamente date -, anzi, li ritiene responsabili del clima di instabilità persistente. Da qui la permanenza del consenso a favore di Berlusconi.
Certamente, un ruolo fondamentale viene svolto dal sistema informativo. Se si considera il fatto che, come sostengono da anni diversi studiosi di flussi elettorali, ciò che determina realmente la vittoria di uno schieramento è l’espressione del voto da parte degli indecisi (che sono, all’incirca un 20% degli aventi diritto), una parte dell’elettorato che solitamente ha come fonte esclusiva la televisione, si può comprendere come l’incidenza dei telegiornali (più che dei talk-show) può risultare, alla fine, determinante. Quest’ultima considerazione ne consente un’altra: che il “cuore” della formazione dell’opinione pubblica non informata e di livello culturale medio-basso siano esattamente i telegiornali. Infatti, mentre trasmissioni come “Ballarò” e soprattutto “Annozero” non possono considerarsi come formative di un’opinione politica, dato che il loro pubblico è già schierato ed abbastanza strutturato, ciò che fa la differenza sono proprio gli indifferenziati telegiornali, con le loro omissioni e un’informazione stravolta a favore del Capo del governo. Essi, al pari dei videomessaggi berlusconiani senza alcun contraddittorio, in altri termini, riescono a orientare una quota rilevante degli “indecisi” e a determinare la vittoria del centro-destra.
L’eccezionalità della situazione politica italiana sta dunque nei due fattori delineati: l’inesistenza di un’alternativa accettabile per il voto moderato e la gestione proprietaria del sistema tele-informativo da parte del premier, essendo quest’ultima la più grande anomalia incostituzionale nell’ambito delle democrazie occidentali. Entrambi questi fattori non possono produrre alcun ottimismo per il futuro. Per quanto riguarda il primo, sarà sufficiente ricordare che il cosiddetto “fattore K”, cioè l’esistenza del più forte partito comunista in Occidente e quindi la mancanza di un’alternativa politica alla Democrazia Cristiana, condannò il Paese ad un immobilismo che è durato circa 45 anni (1948-1993). Per quanto riguarda la seconda, una soluzione (impedire a Berlusconi, con una legge sul conflitto di interessi, di impersonare la rappresentanza politica) si rivelerà impossibile fin quando gli italiani non daranno credito ad una maggioranza politica abbastanza forte da consentire la fuoriuscita del magnate di Arcore dal panorama politico. I due fattori si sostengono a vicenda e sono destinati a rafforzarsi, almeno fin quando le condizioni economiche italiane (le uniche molle muscolari che muovono le azioni dei cittadini) non indurranno gli italiani, come gli algerini, i tunisini e gli albanesi, a scendere in piazza e a fomentare la violenza.