ROMA – Il mare di promesse. L’invadenza mediatica. Poi l’altolà della Lega.
Il sogno del pareggio al Senato ormai legato dal filo rosso dell’impossibile. I tentativi disperati del Cavaliere di invertire la rotta dell’ineluttabile da tempo si stanno stagliando invadenti in ogni rete televisiva, in ogni programma. Manca solo la Domenica sportiva e poi non resta più un buco dove infilarsi. Berlusconi le sta provando tutte. Cavalcando l’onda di un populismo ostentato fino alla paranoia, le manovre del Cavaliere assomigliano sempre più a quelle di un pilota che ha ormai perso il controllo della propria monoposto. Con la ‘sottile’ differenza che Berlusconi tira dritto a folle velocità. Senza timori. L’obiettivo del Cavaliere, al momento di sciogliere le riserve e annunciare una nuova discesa in campo, era chiaro. Il Cav sapeva – e sa – benissimo che riuscire a spuntarla alla Camera è un miraggio. I sondaggi, nonostante in qualche occasione abbiano dato prova di poca attendibilità, sono impietosi. Il premio di maggioranza, che garantisce il 55% dei seggi alla coalizione che ottiene più voti, suona come un verdetto già inappellabile. E’ vero, il coraggio non è mai stato non avere paura. Avere coraggio significa invece affrontare le proprie paure cercando di ribaltarle a proprio vantaggio. Ma in questo caso, ci consenta, la scalata è di quelle che mettono i brividi e invitano a rinunciare di getto. Lui, però, ha deciso di provare a conquistare nuovamente la poltrona di premier. E’ un chiodo fisso ormai. Sistema giudiziario da riformare, magistratura di sinistra, Imu da abolire, pressione fiscale in generale da alleggerire, il fantasma del comunismo e il solito ridondante ritornello della minaccia bolscevica da fermare a tutti i costi (qualche malizioso, in questo calderone, ci mette anche i processi e le leggi ad personam). In buona sostanza, quel vespaio di promesse ed esternazioni usurate perché vecchie di vent’anni e ormai non più credibili. Manca solo il milione di posti di lavoro. Cercando di analizzare quanto accaduto negli uffici di Palazzo Grazioli negli ultimi periodi, attraverso i mezzi sempre perfettibili del pensiero umano, non si fa molta fatica a comprendere che l’obiettivo principale di Berlusconi era ed è quello di strappare almeno un pareggio al Senato.
Per garantire l’ingovernabilità e recitare nuovamente un ruolo di primo piano nel panorama parlamentare. A febbraio si voterà con la legge elettorale attualmente in vigore. Quella stessa legge definita, all’epoca, senza mezzi termini una “porcata” da chi l’aveva concepita. Giusto per intenderci. Il ‘porcellum’ – battezzato così dal politologo Sartori – vuole che al Senato l’assegnazione di seggi sia ripartita su base regionale. Berlusconi aveva provato a fare qualche calcolo e, almeno ai suoi occhi, la missione pareva essere possibile. Lombardia, Lazio, Campania e Piemonte sembravano alla portata. L’idea di riuscire a strappare un pareggio al Senato gli dava speranza. In ogni caso, senza fare i conti con l’asse capeggiata da Bersani che, presumibilmente, si avvia verso una larga vittoria anche al Senato. Poi accade ciò che non t’aspetti (o che t’aspetti, dipende da che punto si guarda la vicenda). Dalle sponde del Po’, arriva improvvisa la pioggia gelida dell’altolà. E le carte cambiano. Ora che la Lega, attraverso la voce autorevole di Maroni, ha messo un veto su Berlusconi candidato premier, il gioca vale ancora la candela? In questo scenario, è ancora possibile pensare di conquistare il Piemonte e la Lombardia? Berlusconi sembra ancora convinto di sì. “L’alleanza con la Lega è nell’interesse comune… Punto al 40%” – aveva detto qualche giorno fa -. Un traguardo che il Pdl non riuscì a tagliare neanche nei momenti d’oro della sua storia.
Difficile, se non impossibile, riuscirci adesso visto che i sondaggi, seppur in leggero recupero, vedono il Pdl molto indietro. Alle spalle, addirittura, del Movimento 5 stelle. Il tutto, mentre il Pd, spinto anche la successo delle primarie prima e delle parlamentarie poi, vola. E l’alleanza Bersani-Vendola appare agli occhi dei più come la strada più percorribile per dare una vera svolta progressista e riformista al paese. Adesso è il tempo. E ce n’è davvero bisogno. L’Italia ha necessità di ripartire e anche presto. Chi a breve avrà l’onore e l’onere di guidare la nazione sa che ad attenderlo c’è un compito arduo, ma anche affascinante. Secondo le stime, si profila un 2013 a tinte fosche per l’economia italiana. Disoccupazione alle stelle, licenziamenti a raffica, Pil che sprofonda. Roba da far tremare i polsi, ma anche l’occasione giusta per aprire una nuova era. Scavare nel solco delle risorse di un paese capace di rialzare sempre la testa e caldeggiare quell’idea di sviluppo che deve necessariamente cominciare da una distribuzione più equa delle risorse, dal lavoro, dall’idea di ripristinare quella coesione sociale tipica di una democrazia definita avanzata. Il senso della sfida è questo. Raccogliere ogni anelito di cambiamento scolpito nel cuore e nella mente di tutti coloro che sono stati traditi dalle politiche neoliberiste (compiute e incompiute) è un dovere morale. Invertire la rotta e dare una finalmente svolta progressista al Bel Paese una condizione assolutamente imprescindibile.