Crisi egiziana: oggi la ‘cacciata’ di Mubarak?

IL CAIRO – Oggi è l’undicesimo giorno della rivoluzione egiziana.

Però, è anche il giorno in cui scade l’ultimatum ad andarsene lanciato a Hosni Mubarak dal leader dell’opposizione laica e moderata, Mohamed El Baradei. L’ex capo dell’Aiea aveva affermato: “Mubarak ha l’opportunità di lasciare il Paese con dignità oppure lo costringeremo a farlo venerdì”. Quel giorno è arrivato.  Un giorno sacro ai musulmani e dedicato alla preghiera. Sarà proprio dopo la preghiera del venerdì che è previsto che i cortei anti Mubarak sfilino per le strade del Cairo e di tutto l’Egitto. Ieri il primo ministro egiziano, Ahmed Shafiq ha chiesto al ministro dell’interno di non ostacolare questi cortei. Appare difficile crederlo visto cosa è accaduto nei giorni scorsi. Già il fatto che oggi, dopo diversi giorni, è riapparsa per le vie della capitale egiziana la polizia in tenuta antisommossa.

 

Per le proteste, organizzate oggi, è previsto che scendano in strada almeno 1 milione di persone per chiedere al presidente Hosni Mubarak di lasciare il potere. In questo venerdì di preghiera, dopo le violenze e le intimidazioni di ieri e una notte relativamente tranquilla, il clima che si respira al Cairo è di attesa. Un’attesa su cosa possa accadere oggi nel giorno del ‘venerdì della partenza’. Piazza Tahrir, diventato il simbolo della rivolta del popolo egiziano al regime di Mubarak, è sempre presidiata dai manifestanti che chiedono le dimissioni del rais. A fronteggiarli e circondarli i sostenitori del regime. Apparsi come dal nulla, in due giorni hanno messo a ferro e fuoco il centro della capitale egiziana provocando morti e feriti. Un bilancio molto approssimativo parla di 13 morti e 1.200 feriti. Le loro fila sono, come da più parti indicato, infoltite oltre che da uomini dei servizi, i Baltagi, e agenti di polizia, anche da ex detenuti e nulla facenti. Gente quest’ultima, pagata per dare man forte e in maniera forte. Nella notte però, come denunciato da più parti, sono state effettuate anche delle retate da parte degli uomini dei servizi di sicurezza. Sono stati arrestati sette giovani oppositori al regime considerati leader della contestazione. Gli arrestati erano di ritorno dalla casa di Mohammed el Baradei. Intorno alla piazza ci sono anche i militari egiziani, in tenuta antisommossa e con le loro armi automatiche puntate e i carri armati pronti a intervenire. Sebbene schierati numerosi, finora però, non sono praticamente intervenuti per sedare la piazza in tumulto. Il timore è che anche oggi la protesta possa degenerare in cruenti scontri. Il pericolo maggiore viene dai cecchini a cui hanno fatto ampiamente ricorso in questi due giorni i sostenitori di Mubarak. Sono almeno 5 i morti provocati. Proprio ieri due manifestanti antigovernativi sono stati uccisi da cecchini posizionatisi sul tetto dell’hotel Hilton che affaccia sulla piazza. Gli scontri sono stati caratterizzati anche da fitti lanci di sassi e bottiglie molotov. Finora gli uomini delle forze di sicurezza hanno effettuato molti arresti, sia nella piazza sia all’esterno. Molti degli arrestati e qualcuno dei feriti sono però, reporter internazionali.  I sostenitori del presidente Mubarak hanno infatti, attaccato anche i giornalisti e cittadini stranieri.

 

Al Cairo sono stati soprattutto i Baltagi, gli agenti della polizia segreta, che travestitisi da simpatizzanti del rais  hanno attuato una sistematica caccia all’uomo. Una caccia che ha riguardato anche personale delle organizzazioni umanitarie internazionali, Ong. E’ il caso di Amnesty International che ha denunciato l’arresto di un suo attivista francese e  Human Rights Watch che ha denunciato l’arresto del suo rappresentante al Cairo, Daniel Williams marito di Lucia Annunziata. Anche tre cittadini italiani sono incappati nella rete del regime. Sequestrati ad un posto di blocco sono stati però poi, rilasciati. Lui, il vecchio leader egiziano, ha già dato una risposta alla piazza. Il presidente non ha accolto il loro invito ad andarsene. L’ha detto implicitamente nel discorso alla nazione tenuto lo scorso martedì alla Tv di Stato. Mubarak ha annunciato che non si ricandida alle presidenziali, ma continuerà a restare al suo posto, almeno fino al voto per le presidenziali di settembre. Ieri poi,  in un’intervista concessa all’Abc ha affermato: “Voglio lasciare, ma il Paese piomberebbe nel caos se mi dimettessi ora”. Un sibillino messaggio inviato alla piazza che di certo se il rais cedesse scatenerebbe il caos, ma con i suoi festeggiamenti. Quindi nonostante le pressioni, interne ed esterne, e le contestazioni, il vecchio leader egiziano ha detto di non volersi dimettere.

 

Inoltre, nonostante le tante prove raccolte contro, ha anche sostenuto di non aver manovrato i suoi sostenitori contro i manifestanti anti-governativi. Nel frattempo, i Fratelli musulmani, principale gruppo d’opposizione e fuorilegge nel Paese mediorientale, ha fatto sapere di non essere interessati a correre alle presidenziali di settembre. L’annuncio è venuto da Mohammed al-Beltagi, uno dei suoi leader, che ha inoltre, confermato che rappresentanti del governo hanno invitato il gruppo al tavolo dei colloqui in corso sulle riforme politiche spiegando però, che: “Siamo pronti a negoziare, ma solo dopo la fine del regime di Mubarak”. Il governo, secondo al Beltagi, avrebbe anche promesso che il gruppo, a cui fa capo, riceverà il riconoscimento di partito. L’amministrazione statunitense è intanto, impegnata in un negoziato con alcuni dirigenti egiziani per ottenere le immediate dimissioni del presidente Mubarak e la consegna dei poteri a un governo di transizione guidato dal vice presidente, Omar Suleiman, appoggiato dall’esercito. A rivelarlo nella sua edizione odierna il ‘New York Times’. La proposta, rivela sempre il tabloid statunitense, su cui lavora l’amministrazione americana prevede anche il coinvolgimento di tutte le forze di opposizione, compresi i Fratelli Musulmani, nel processo di riforma, in modo da poter tenere non più tardi di settembre elezioni libere e democratiche. Dalle sue pagine il giornale USA spiega anche che per ora non ci sono chiari segnali sulla disponibilità di Suleiman e dei militari egiziani a ritirare l’appoggio a Mubarak. Esistono inoltre, dei limiti costituzionali a questo piano, in quanto le leggi del Paese prevedono che, quando viene meno il presidente, il potere non passi al suo vice, ma al capo del Parlamento.

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