Berlusconi nella tagliola di Fini. L’autunno del patriarca

ROMA – Potrebbe chiamarsi: il moto perpetuo. È quello della marea che erode, anno dopo anno, la costa, la goccia che scava le rocce. Gianfranco Fini ha deciso di tramutarsi in qualcosa di liquido, che diventa contenitore a seconda di dove lo collochi ma che, nel frattempo, riesce a scardinare un sistema, una concrezione.

L’intelligenza tattica del leader di Fli si sta dimostrando letale per Silvio Berlusconi, che oramai ha capito dove vada a parare. Non c’è predominio televisivo che tenga, Minzolini o non Minzolini, Fini sta letteralmente conquistando i sondaggi, con la sua pacata visione della destra di Governo, una visione da statista, che il Cavaliere non ha mai avuto. La decisa presa di posizione di Giorgio Napolitano contro il Lodo Alfano costituzionale ha trovato il Presidente della Camera sulle medesime posizioni. “Niente più leggi ad personam” ha detto, ripulendo la lama dal sangue dell’ennesima stilettata con cui infierisce sul corpo mistico del leader. Ma, come scrive Alessandro De Angelis su “Il Riformista”, “l’arte della guerra orientale suggerisce di cavalcare la propria tigre, evitando di esserne divorati. Gianfranco Fini pare seguire la massima alla lettera”. Il cinese, che aspetta sul greto del fiume, con la sicurezza che non dovrà stare lì molto tempo per vedere scorrere i cadaveri.

Ora, è passato alla fase due del progetto: il Governo alternativo. I contatti con Massimo D’Alema e Pierferdinando Casini sono quasi giornalieri. Sono contatti discreti ma palesi, non nascosti. Si tratta di traghettare un sistema corroso dal berlusconismo verso la normalità europea: un bipolarismo “zoppo”, come quello inglese, con la presenza di un partito di centro e due ali alla sua destra e alla sua sinistra. Ali moderate, di uomini perbene, non implicate nella corruzione presente, lontane anni luce dai guasti arcoriani. Lui – inutile negarlo – è il motore di questa progressiva azione riformatrice. Gli obiettivi di breve periodo sono: la riforma della legge elettorale e un meccanismo normativo che impedisca la necrosi politica derivante dal conflitto di interessi, obiettivi sui quali, oggi come oggi, troverebbe una larga aderenza parlamentare.

Il Cavaliere è talmente consapevole di essere al centro della più grande manovra di accerchiamento militare della seconda Repubblica che ieri ha spiazzato tutti sottolineando il suo disinteresse per il Lodo Alfano, tanto da suggerire la rinuncia al disegno di legge costituzionale. Non è vero, ovviamente, come la maggior parte delle cose che dice il Capo del Governo. Anzi, le sue dichiarazioni, se possibile, questa volta sono state ancora meno credibili del passato: quel suo dire “Non vorrei dare l’impressione di volere una legge ad personam” è un palese schiaffo al suo ex alleato, una comunicazione sub-liminale: “Guarda che ti sto inquadrando nel mirino con la carabina”. E forse pensando alla convinzione di Gian Maria Volonté in “Per un pugno di dollari”: “Se un uomo con il fucile incontra un uomo con la pistola, quello con la pistola è un uomo morto”.

Ma la strada per il magnate di Arcore è oramai molto stretta. Se ne stanno convincendo gruppi di fedelissimi che già cominciano a guardare a Fini come al prossimo comandante. E Berlusconi assomiglia sempre di più all’anonimo generale de “L’autunno del patriarca” di Gabriel Maria Marquez, dittatore caraibico sempre più solo e afflitto. E quasi senza più munizioni.

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