ROMA – Italia maglia nera in Europa sul versante dell’occupazione giovanile. Dal Rapporto annuale Istat emerge che il Bel paese, tra gli stati del vecchio continente, ha la quota più alta di giovani tra i 15 e 29 anni che non lavora né studia. Le cifre sono spaventose. Ben 2 milioni e 250mila (23,9%) nel 2012, praticamente 1 su 4. Solo il 57% dei giovani laureati o diplomati italiani lavora entro tre anni dalla conclusione del proprio percorso formativo. L’obiettivo europeo sull’occupazione giovanile nel 2020 è fissato all’82%, mentre il valore medio europeo dell’indicatore nel 2011 è stato del 77,2%. In Italia, l’indicatore è al 57,6%: circa venti punti percentuali in meno.
Istat, 53% disoccupati
L’Istat rileva l’aumento di oltre 1 milione di italiani senza lavoro. Si è passati, infatti, da 1,69 a 2,74 milioni. A crescere, tuttavia, è soprattutto la disoccupazione di lunga durata, cioè di chi aspetta un impiego da oltre un anno. Anche qui le cifre mettono i brividi: più 675mila, ovvero il 53% del totale. La media Ue, va evidenziato, si attesta al 44,4%.
Nel 2012 boom contratti part-time
Nel 2012 è stato rilevato un boom dei contratti part-time (più 253mila rispetto all’anno precedente), mentre sono scesi quelli ‘standard’ (-410mila unità). Le persone potenzialmente impiegabili nel processo produttivo sono circa 6 milioni. Dal Rapporto emerge anche che per il 62,9% degli italiani gli immigrati non tolgono lavoro, mentre per il 50% si dovrebbe dare precedenza di impiego agli italiani.
In 381 famiglie lavora solo la donna
Le famiglie con figli in cui a lavorare è solo la donna sono passate da 224mila nel 2008 a 381mila nel 2012 con un aumento del 70%. Rilevante è il rialzo dell’occupazione ‘rosa’ nelle coppie in cui l’uomo è disoccupato (in questo caso, l’aumento è pari al 21,2% rispetto al 2012) o cassintegrato. La retribuzione netta mensile delle dipendenti è inferiore del 205 rispetto agli uomini.
Secondo il Rapporto Istat, inoltre, l’anno scorso, l’incidenza delle imposte correnti sul reddito disponibile delle famiglie è salita al 16,1%, il livello più alto dal 1990. La propensione al risparmio delle famiglie italiane si è attestata su livelli nettamente inferiori rispetto alle altre famiglie europee: 8,2%.
Crolla potere d’acquisto
Stando ai dati diffusi dall’Istat, nel 2012, il potere d’acquisto delle famiglie italiane ha fatto registrare una caduta “d’intensità eccezionale”: -4,8%. Al calo del reddito disponibile (-2,2%) è corrisposta una flessione del 4,3% delle quantità di beni e servizi acquistati. Si tratta della flessione più forte dall’inizio degli anni ’90.
Giù anche i viaggi
Tra il 2008 e il 2012 le famiglie hanno effettuato il 36% di viaggi in meno. I passaggi di proprietà immobiliari, poi, sono calati del 22,6%. Anche gli alimentari hanno subito una riduzione degli acquisti , sia in termini di qualità che di quantità.
Imprenditori, -42,4% negli ultimi 4 anni
Nell’ultimo quadriennio si è registrato un calo anche delle professioni qualificate, mentre sono aumentate quelle esecutive (badanti, commessi). Secondo l’Istat, dirigenti ed imprenditori sono diminuiti del 42,4%, nella maggior parte dei casi piccoli imprenditori e dirigenti d’azienda. Dal Rapporto emerge anche che le imprese segnalano, a partire dalla fine del 2011, un inasprimento delle condizioni d’accesso al credito. Le più penalizzate, quelle piccole. Penalizzazione che si riduce significativamente per le grandi aziende.
Effetto spending review, calano debiti P.A.
I debiti commerciali delle pubbliche amministrazioni ammontavano a fine 2012 a 63,2 miliardi. In calo rispetto ai 65,7 miliardi dell’anno precedente. Questa inversione di tendenza rispetto alla dinamica crescente registrata nel biennio 2009-2011, sostiene l’Istat, “può essere attribuita agli effetti della spending review”. Il 57% dei debiti sono concentrati nel comparto sanità.