Berlusconi chiede il conflitto di attribuzione. L’ennesima fuga dal processo

ROMA – Qualche settimana fa dichiarò, in uno dei suoi infiniti monologhi senza contraddittorio e senza domande, che “io non sono mai fuggito dai processi”. Infatti, ieri il suo ramo di azienda, il Pdl, ha chiesto ufficialmente al Presidente della Camera Gianfranco Fini di avviare il procedimento perché il Parlamento chieda alla Corte Costituzionale il conflitto di attribuzione, per fare in modo, appunto, che Berlusconi non sia processato dai giudici del tribunale di Milano per il caso Ruby. I direttori del ramo di azienda, Fabrizio Cicchitto, Marco Reguzzoni e Luciano Sardelli, infatti, hanno motivato la richiesta “all’Organismo parlamentare non può essere sottratta una propria autonoma valutazione sulla natura ministeriale o non ministeriale dei reati oggetto di indagine giudiziaria. Né tantomeno ove non condivida la conclusione negativa espressa dal Tribunale dei ministri – la possibilità di sollevare conflitto d’attribuzioni davanti alla Corte costituzionale – assumendo di essere stata menomata per effetto della decisione giudiziaria, della potestà riconosciutale dall’Articolo 96 della Costituzione”.

La mossa è stata a lungo studiata a Palazzo Grazioli e il suo significato non si esaurisce negli stratagemmi per togliere dai guai il Caimano ma è anche uno strumento per mettere in difficoltà il Presidente della Camera Gianfranco Fini, al quale spetterà l’ultima parola sul ricorso alla Corte Costituzionale. Sia che Fini accetti in modo notarile la richiesta del Pdl, sia che ponga ostacoli, si ritroverà a dover combattere conto l’uno o l’altro schieramento. Berlusconi sta tirando la corda in modo tale da porre il Paese al centro di una crisi istituzionale senza precedenti nella storia repubblicana.

Il conflitto di attribuzione

Il conflitto di attribuzione viene sollevato ogni qualvolta uno dei poteri dello Stato (Legislativo, Esecutivo, Giudiziario) si trova in conflitto con un altro potere per quanto concerne l’esercizio di attribuzione ad esso assegnate dal modello costituzionale fondato sulla divisione dei poteri. La Costituzione assegna la competenza a dirimere il conflitto alla Corte Costituzionale. Più in particolare, l’articolo 37 della legge istitutiva della Consulta prevede che il conflitto di attribuzione riguardi organi che sono competenti a dichiarare in via definitiva la volontà del potere al quale appartengono e la loro sfera di attribuzione. Nel caso lamentato dal Pdl, il conflitto di attribuzioni si avrebbe in quanto i magistrati del tribunale milanese si sarebbero arrogati il potere di giudicare un Capo di Governo, quando invece, essendo la competenza devoluta al tribunale dei ministri, l’unico organo cui è attribuita la competenza è il Parlamento.

La legge costituzionale n. 1 del 1989 attribuisce alla Camera il potere di dare l’autorizzazione a procedere di fronte a reati ministeriali, commessi da ministri e presidente del Consiglio, secondo quanto disciplinato dall’articolo 96 della Costituzione. Nel caso in cui, dunque, la Camera ritenesse lesa questa sua prerogativa, la Camera può sollevare il conflitto di attribuzione tra poteri davanti alla Corte Costituzionale. I passaggi parlamentari previsti chiamano rispettivamente in causa Ufficio di presidenza, Giunta per le autorizzazioni e quindi voto dell’assemblea. Sul caso Ruby che vede il presidente del Consiglio a processo il 6 aprile, si è dunque aperta la prospettiva di un conflitto davanti alla Corte Costituzionale, paventata fin dall’inizio dal Pdl, posta la competenza del Tribunale dei ministri ‘rivendicata’ da subito da parte della maggioranza, che in tal modo si era già espressa negando l’autorizzazione alla perquisizione chiesta dai pm di Milano.

Il grido di allarme dei costituzionalisti

«Si sta rompendo ogni equilibrio tra poteri dello Stato». È l’allarme lanciato su “Repubblica” da Gaetano Azzarita, costituzionalista alla Sapienza di Roma, secondo il quale «il premier continua nella sua opera di delegittimazione degli organi di garanzia» e «ora non si salva più nessuno, Parlamento, giudici, Quirinale». Per il costituzionalista, il premier «tenta di riversare sulla struttura istituzionale la crisi politica della sua maggioranza», e così facendo «calpesta il ruolo degli organi di garanzia e perfino del supremo garante della Costituzione». Che «ci sia un garante della Costituzione, assistito dal suo staff – sottolinea – è la sostanza stessa del nostro sistema costituzionale». Ma queste «tendenze di stampo populistico non potranno che accrescere le tensioni istituzionali già rilevate dal Colle».

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