Anna Calvi: a star is born

ROMA – E’ iniziato all’insegna delle donne il nuovo anno, grazie agli acclamati lavori di Joan as police woman e PJ Harvey, ma soprattutto all’esordio di uno dei nomi più chiacchierati di questo periodo, Anna Calvi.

Il nome non deve trarre in inganno: di padre italiano, ma londinese al 100%, viene notata da Brian Eno e da Nick Cave che la porta in tour con i suoi Grinderman lo scorso autunno. A fine anno esce il suo primo singolo “Jezabel”, cover di un brano degli anni cinquanta reso celebre dall’interpretazione di Edith Piaf, che la fa conoscere ad un pubblico più vasto e le vale l’interesse della stessa BBC che la indica come una degli artisti da tenere d’occhio nel 2011.
All’uscita del disco a febbraio grandi consensi ma anche qualcuno che inizia a storcere il naso: i troppi riferimenti neppure troppo velati presenti nelle canzoni potrebbero essere il sintomo della mancanza di un vero e proprio stile personale.
Pericolo scongiurato per chi scrive: dopo ripetuti ascolti l’emozione di trovarsi di fronte a uno degli esordi più folgoranti degli ultimi anni ancora non si placa e i dieci pezzi, tutti bellissimi, sono la testimonianza del talento di questa giovane cantautrice.

Una chitarra spettrale introduce “Rider to the sea”, unico brano strumentale, ipotetica colonna sonora per un film di Tarantino. Ma è con “No more words” che viene fuori il paragone più usato, quello con PJ Harvey: certo anche la produzione di Rob Ellis rinforza il concetto, ma il pezzo sembra veramente essere uscito da “Rid of me”, splendido album di quasi vent’anni fa della cantautrice del Dorset.
“Desire” ha lo stesso incedere di un brano di Patty Smith e introduce uno dei pezzi più belli del disco, quella “Suzanne and I” dal titolo di coheniana memoria, con l’apertura del ritornello memorabile, rock-ballad a tutti gli effetti.

I due brani successivi, “First we kiss” e “The devil” ci riportano direttamente alle atmosfere di “Grace”, mai dimenticato album di Jeff Buckley: intensa ballata soul la prima, con arrangiamento finale di archi; brano di una bellezza estrema il secondo, chitarra e voce che partono sommessamente per lasciare spazio ad un lamento e ad un “the devil will come” quasi sussurrato, con finale in crescendo in stile morriconiano.
“Blackout”, scelto come primo singolo, sembra alleggerire la tensione: il più orecchiabile del lotto ma non per questo banale, gli Arcade Fire che incontrano gli Interpol.
Splendido blues notturno è “I’ll be your man”, mentre in “Morning light” è  la presenza dell’harmonium ad impreziosire il tutto: chiude “Love won’t be leaving”, brano dall’atmosfera western, alternanza di vuoti e pieni, con la voce di Anna che si innalza verso un finale epico.
Sentiremo ancora parlare di Anna Calvi durante l’anno, e speriamo anche qui in Italia: soprattutto in vista del suo breve tour di aprile, con tappa anche a Roma al Circolo degli Artisti assolutamente da non perdere.

Alessandro Grillo

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