Schiavella, gli imprenditori edili come Jekyll e Hyde e noi scioperiamo

Foto di Salvatore Contino
Foto di Salvatore Contino

Dall’intesa per affermare un nuovo modello produttivo alla rottura sul contratto di lavoro 

ROMA – Insieme erano scesi in piazza, operai e imprese, per una manifestazione unica nel suo genere, che portò il 1 dicembre 2010 davanti a Montecitorio la protesta del mondo delle costruzioni contro un Governo sordo alle loro richieste. Quel giorno i caschetti gialli degli operai e degli imprenditori avevano conquistato le prime pagine dei giornali, così come era già  accaduto qualche mese prima, quando – ad un anno dal terremoto dell’Aquila – avevano dato vita agli Stati Generali delle Costruzioni, con un manifesto programmatico incentrato su una nuova idea di edilizia, capace di affermare la qualità  del lavoro e dell’impresa, la legalità , la regolarità, la sostenibilità . Con lo stesso spirito collaborativo, tra sindacati e parti datoriali si era trovato con facilità  un accordo soddisfacente sui rinnovi dei contratti nazionali, con un buon risultato economico e normativo, in assoluta controtendenza con ciò che avveniva su altri tavoli, chiusi con accordi separati.

A tre anni di distanza la fotografia è molto diversa, tutta colpa della crisi? Lo chiediamo a Walter Schiavella, segretario generale della Fillea, la categoria degli edili della Cgil che, insieme a Filca Cisl e Feneal Uil, a seguito dell’interruzione delle trattative con Ance e Coop per il rinnovo del contratto nazionale dell’edilizia, ha proclamato per il 13 dicembre lo sciopero nazionale di 8 ore, con manifestazioni territoriali a Milano, Roma, Napoli e Palermo.

“Direi che siamo di fronte allo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde. Proprio da quelle associazioni datoriali che avevano trascinato l’intero sistema delle imprese a condividere con i sindacati un orizzonte produttivo fondato sulla sostenibilità , il risparmio energetico,il costruire nel segno della qualità , proprio da loro abbiamo avuto la più intollerabile e provocatoria proposta di rinnovo del ccnl. Dopo un anno di trattative, ci hanno presentato un accordo con zero lire di aumenti salariali e la messa in discussione dell’Ape, l’indennità di anzianità  professionale edile, che corrisponde circa ad una mensilità . Mentre dunque il dott. Jekyll condivideva con noi la necessità  di cogliere l’opportunità  della crisi più devastante dal dopoguerra per affermare un nuovo modello produttivo basato su qualità del lavoro e dell’impresa, il signor Hyde ci proponeva senza pudore un tuffo nel medioevo, scaricando ancora una volta la crisi sulle spalle dei lavoratori, come se il diritto al salario fosse un optional che a seconda della congiuntura si toglie o si elargisce. Per questo abbiamo deciso di chiamare tutti i lavoratori e le lavoratrici dell’edilizia allo sciopero, e non ci fermeremo fino a quando avremo portato a casa il rinnovo del contratto nazionale, un diritto che nessuno può mettere in discussione. Nelle associazioni datoriali ci sono settori che remano contro, che non vogliono rinnovare il contratto, e allora credo sia arrivato anche per le imprese il momento di riflettere sul tema della rappresentanza e della effettiva rappresentatività , che riguarda tutte le parti sociali, non solo il sindacato.“

 

Schiavella, hai parlato della necessità di cogliere l’opportunità della crisi per affermare un nuovo modello di sviluppo delle costruzioni. L’avete definita, presentando il rapporto Edilizia e Sostenibilità realizzato insieme a Legambiente, una “rivoluzione sostenibile”. Non stiamo forse nel mondo delle utopie?

“Se la politica avesse dato ascolto a quell’utopia, oggi forse non ci ritroveremmo a dover fare i conti con un territorio che reagisce ai fenomeni naturali come una bambola di porcellana. Le devastazioni prodotte da una pioggia eccezionale o da una scossa di terremoto di poco superiore alla media la dicono lunga sulle condizioni del nostro territorio, delle abitazioni, degli edifici pubblici, dei capannoni industriali. E se non è il terremoto che uccide ma la casa che crolla, quella casa non basta averla costruita, occorre anzitutto metterla a norma e poi manutenerla; e se i cambiamenti climatici prodotti dall’inquinamento producono morte in ogni parte del pianeta, occorre cambiare la rotta dello sviluppo, non solo riparare i danni. Per questo, mai come in questo caso, la parola “rivoluzione” non è utopia ma l’unica possibilità  che abbiamo per fermare un processo di autodistruzione. Che per il nostro settore significa archiviare una volta per tutte la strada della cementificazione selvaggia, dei condoni, del consumo indiscriminato del suolo, della speculazione. Altrimenti,come ci ricorda un rapporto del Ministero dell’Ambiente, nel giro di pochi decenni lo scenario italiano sarà irreparabile: impoverimento delle riserve di acqua, desertificazione nel Mezzogiorno, moltiplicazione di fenomeni franosi e alluvionali, perdita di ecosistemi, riduzione dei raccolti, innalzamento del mare fino a inondare le pianure costiere,diffusione di malattie infettive tropicali, riduzione della produzione idroelettrica, consunzione di ferrovie e strade. Quell’Italia delle costruzioni che cresce al ritmo di 300mila all’anno non esiste più. Serve un altro sistema, quello della manutenzione, del risparmio energetico, della rigenerazione e del recupero urbano, della messa in sicurezza degli edifici e del territorio. Per fare questo occorrono scelte produttive ma anche scelte di politica industriale da parte del governo. “Sta qui il punto. I governi italiani in questi ultimi decenni hanno agito o nella direzione di favorire il rafforzamento di una idea di edilizia speculatrice e divoratrice di territorio, e cioè le logiche delle sanatorie, dell’abbassamento dei vincoli edificatori e delle regole, o, nel migliore dei casi, con poco coraggio, come dimostra la legge di stabilità  in discussione in Parlamento: solo 30 milioni di euro per la difesa del suolo, ovvero il corrispettivo di 600 auto blu; incentivi non resi strutturali ed ancora una volta distribuiti indifferentemente, senza una logica premiale nei confronti dell’impresa di qualità  e del lavoro di qualità . Ovvero, in soldoni, prendo incentivo indipendentemente dal fatto che i miei dipendenti siano regolarmente segnati o che la mia azienda sia in qualche black list o che sia teatro di frequenti infortuni. Si continua a fare salti mortali per togliere l’Imu e si crea in questo modo un unico calderone per le tasse sulla casa e sui servizi annessi, che potrebbe funzionare per garantire ossigeno al governo, ma non per garantire gli adeguati interventi sull’ambiente. E’ il caso dei rifiuti, da molti anni si parla del passaggio dalla tassa alla tariffa, dove chi inquina meno,chi produce con minori emissioni, chi differenzia maggiormente, paga di meno. E mentre il generale Lapalisse di rigira nella tomba, il costo del “non fare” continua a produrre danni enormi, come ci conferma la vicenda della Terra dei Fuochi.” Cosa dovrebbe fare quindi il governo? Sia nella legge di stabilità che nelle strategie del governo manca un orizzonte strategico in cui definire e attuare azioni coerenti. I verdi tedeschi qualche anno fa lo definivano “pensare globalmente agire localmente”, ecco manca il pensare globalmente e manca l’agire conseguente. Anche qui faccio un esempio. L’Europa prevede impegni chiari e vincolanti da parte degli Stati per fare dell’efficienza energetica la chiave per una riqualificazione diffusa e ambiziosa del patrimonio edilizio. Ci sono importanti risorse, il governo deve approvare entro aprile 2014 una strategia nazionale, e individuare interventi di riqualificazione del patrimonio pubblico e privato da finanziare e realizzare. Ma per non perdere queste opportunità  occorre creare una regia nazionale, invece assistiamo ad una totale confusione di responsabilità  tra Ministero delle infrastrutture, Ministero dello sviluppo economico, Ministero dell’Ambiente, con il rischio che l’Italia perda i fondi strutturali 2014 – 2020.” 

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