Libia. La Nato rischia il due di picche. Ognuno combatte per il suo orticello

ROMA – Siamo giunti al quinto giorno dell’operazione in Libia “Odissey Dawn”, che guarda caso ricorda tanto il titolo di un famoso film del 1968 di Stanley Kubrick, dove si cerca di mettere in scena l’indissolubile legame che unisce l’uomo al tempo e allo spazio sotto l’influenza dalle sue scelte personali.

Ed è proprio sul fronte decisionale che oggi con una dose di imparzialità emergono i lati oscuri di questa guerra che sta incrinando i rapporti tra le nazioni, e non solo nella già compromessa area medio orientale, ma anche tra gli stessi paesi occidentali, quelli che dal 1949 hanno deciso di far parte del Patto Atlantico del Nord, ovvero la Nato.

Tutto ha inizio il pomeriggio dello scorso 19 marzo quando il Consiglio di Sicurezza, il più importante organo dell’Onu,  a cui aderiscono ben 192 paesi del pianeta, ufficializza la risoluzione 1973 con i voti favorevoli di  Bosnia-Erzegovina, Colombia, Gabon, Libano, Nigeria, Portogallo, Sudafrica e dei membri permanenti Francia, Regno Unito e Stati Uniti  e sulla quale nessuno espresse parere contrario, incluse le astensioni di cinque paesi: Brasile, Germania, India, Cina e Russia.  L’obiettivo principale è quello di obbligare il leader libico Muammar Gheddafi ad un immediato cessate al fuoco per consentire la creazione di una No Fly zone al fine di portare gli aiuti umanitari alla popolazione colpita dal regime e alle migliaia di persone costrette a fuggire verso le zone di confine. Questa la versione ufficiale. Ma c’è un però. Ancora prima che l’Onu diede il via libera, che di fatto sancisce anche  la possibilità di intervenire militarmente per raggiungere tale scopo, i caccia Rafale francesi erano già in volo di ricognizione sul territorio libico. All’intervento della Francia si accoda subito la Gran Bretagna con la benedizione degli Stati Uniti che assicura una collaborazione logistica dal mare. Li definiscono gli interventisti volontari, visto che la gestione operativa per il comando e per il controllo della Nato avrebbe potuto rallentare l’immediatezza dell’azione militare in una situazione già di per sè critica. Almeno questo è quanto emerge..

 

Ma le cose potrebbero essere interpretate diversamente, perchè  c’è tanta carne al fuoco e la posta in gioco è altissima.   Così da subito emerge quel disaccordo generale sia sul piano politico che su quello militare in seno alla Nato, l’organizzazione istituita nel 1949 sotto l’influsso della guerra fredda che oggi conta 28 stati membri, tra cui alcuni paesi  aderenti all’ex Patto di Varsavia sciolto nel 1991 in seguito al crollo del blocco sovietico. Nel quartier generale dell’Alleanza Atlantica si continua a discutere incessantemente, in quanto per assumere il coordinamento delle operazioni militari è richiesto il consenso di tutti i 28  aderenti. Al momento è stato raggiunto un accordo per quanto concerne l’embargo delle armi nei confronti della Libia, che sarà possibile attraverso il controllo monitorato con i mezzi navali ed aerei della Nato sotto la guida dell’ammiraglio statunitense James G. Stavridis, in cui anche  l’Italia avrà un ruolo di primo piano. Mentre nessuna decisione è stata presa sul comando della no-fly zone in Libia. Certo la Nato ha chiarito di essere pronta ad agire se e quando richiesto, come ha precisato la portavoce Oana Longescu, visto che tutti i piani sono stati approvati. Tuttavia i giochi sono fatti e la Nato rischia di conquistare una posizione di controllo, ma solo sulla carta.  D’altra parte l’ingerenza dell’Eliseo è irrefrenabile, tanto che la Francia si è ormai auto promossa leader indiscussa nell’intervento libico.  Sarà per raggiungere quell’immediato ruolo chiave per la spartizione delle allettanti risorse libiche, sarà per dimostrare l’efficienza e l’affidabilità dei suoi caccia per i quali sono in corso delle trattative di vendita con altri paesi, o forse per incassare quel conto in sospeso del lontano 1966, anno in cui Tombalbaye  il primo presidente del Ciad, ex colonia francese, preferì rivolgersi a Gheddafi per sedare la guerra civile in corso, escludendo i francesi.  E pensare che proprio la Francia in quello stesso anno durante il governo di  Charles De Gaulle si ritirò dal Comando Militare della Nato per farvi ritorno solo due anni fa, nel 2009.

Una visione tanto soggettiva quanto inquietante arriva dal generale della Nato Fabio Mini, che in un’intervista all’Espresso si dice convinto che “le ragioni non siano umanitarie o di rimozione del regime di Gheddafi”, bensì si starebbero decidendo i nuovi equilibri energetici dell’area nordafricana e degli Stati che la controllano.
Insomma una vera e propria spartizione dei poteri, come si prevedeva. Ma c’è dell’altro. Secondo l’alto ufficiale la posizione dell’Italia è un “enigma”. Non dimentichiamo che proprio ieri il presidente Berlusconi si è detto dispiaciuto per Gheddafi, proponendo un salvacondotto che lo salvi dal reato contro i crimini di guerra e assicuri a lui  e alla sua famiglia l’esilio. “A Gheddafi non va torto un capello – ha detto il premier -, le foto della sua casa bombardata mi fanno star male”. Insomma ora anche il Premier alimenta la confusione per avere un ruolo da protagonista in questa vicenda, proponendosi disponibile a convincere il rais a fare le valigie e lasciare il suo paese in tutta tranquillità.

Confusione ormai conclamata  nell’ambiente della Nato dove ognuno, nonostante le future decisioni unanimi, continuerà a coltivare il suo orticello nella diversità sostanziale delle operazioni militari rispetto a quelle intraprese dalla politica. Chi ricuce  i rapporti con Gheddafi, vedendolo come unico interlocutore, e chi come i francesi – che per primi hanno riconosciuto la legittimità del Consiglio dei rivoltosi – si alleano al “nuovo” che avanza, l’obiettivo non cambia molto. Ma attenzione, perchè questa volta il Colonnello non si accontenterà di un innocente baciamano.

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Alessandro Ambrosin

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