Ci sono luoghi che, più di altri, vengono raccontati attraverso un’immagine pubblica rigida, quasi cristallizzata. Corviale è uno di questi.
Per decenni è stato ridotto a simbolo, a metafora urbana, a caso-studio architettonico e politico. Il libro fotografico di Aldo Feroce compie invece un’operazione radicalmente diversa e profondamente necessaria: restituisce Corviale alle persone che lo abitano, sottraendolo alla retorica e riconsegnandolo alla vita.
Lo sguardo di Feroce non è mai quello del fotografo che osserva dall’esterno. È uno sguardo che entra, che si ferma, che ascolta. Le sue immagini non cercano l’effetto, non inseguono il sensazionalismo del degrado né la facile estetizzazione del “mostro architettonico”.
Al contrario, lavorano per sottrazione, scavano nel quotidiano, nelle pieghe dell’esistenza ordinaria, là dove l’umanità resiste e si reinventa.
Corviale emerge come un mondo parallelo solo in apparenza. In realtà è uno specchio potente della città contemporanea, delle sue contraddizioni, delle sue ferite e delle sue possibilità. Le fotografie raccontano vite che si intrecciano, storie di sradicamento e di adattamento, di dolore e di ostinata speranza.
Gli abitanti non sono mai comparse: sono protagonisti consapevoli di un’esistenza che si costruisce giorno dopo giorno, anche quando lo spazio sembra negarla.
Il cemento, onnipresente, non è il soggetto principale. È il contesto, a volte oppressivo, a volte quasi silenzioso, dentro cui si muovono corpi, sguardi, gesti. Ed è proprio in questo contrasto che il lavoro di Feroce trova la sua forza più autentica: l’architettura pensata come progetto razionale e politico viene attraversata dall’imprevedibilità dell’umano, che la trasforma, la piega, la riempie di significati non previsti.
Le immagini dialogano idealmente con le parole che accompagnano il volume, restituendo il senso di uno spostamento forzato, di un “esilio” urbano che nel tempo diventa appartenenza, memoria condivisa, identità. Corviale non è più soltanto periferia, non è solo negazione del centro: diventa luogo vissuto, abitato, raccontato dall’interno. Diventa, a tutti gli effetti, Roma.
Il libro di Aldo Feroce è quindi molto più di un reportage fotografico. È un racconto intimo, quasi confidenziale, che chiede allo spettatore di rallentare, di guardare senza pregiudizi, di riconoscere nell’altro qualcosa di sé. È un lavoro che parla di marginalità senza trasformarla in etichetta, che mostra il conflitto senza spettacolarizzarlo, che restituisce dignità alle storie senza bisogno di proclami.
In queste fotografie Corviale smette di essere un’icona astratta e torna a essere ciò che è sempre stato: un insieme di vite, di relazioni, di emozioni. Un luogo in cui l’umanità, nonostante tutto, continua a cercare spazio. E a trovarlo.



