I magistrati chiederanno l’autorizzazione ad utilizzare le intercettazioni telefoniche fra il neoministro e il prestanome di Vito Ciancimino. Un elementare principio di precauzione avrebbe sconsigliato la sua nomina al dicastero dell’agricoltura
ROMA – Tanto per non smentirsi Silvio Berlusconi ha ancora a che fare con indagati per mafia. Non bastava Marcello Dell’Utri (condannato in appello ed ora in attesa della definitiva sentenza della Cassazione), ora sta inciampando anche nel caso di Saverio Romano.
Nonostante le perorazioni a favore di se stesso, infatti, il neoministro dell’agricoltura, inopinatamente divenuto essenziale per la tenuta dell’attuale maggioranza di governo, è ancora indagato dalla Procura di Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa (il pm ha chiesto l’archiviazione ma il gip si è opposto) e per concorso in corruzione per avere favorito Cosa nostra. Il neoministro minimizza, ovviamente, e con lui Ignazio La Russa e gli altri gerarchi della destra, ma i pm stanno vagliando il contenuto di alcune intercettazioni telefoniche fra Romano e il prestanome della famiglia Ciancimino, l’avvocato tributarista Gianni Lapis. Ora i magistrati palermitani sono intenzionati a chiedere l’autorizzazione alla Camera per poter utilizzare i tabulati (possiamo immaginare che fine farà la richiesta). Romano era stato avvertito dagli stessi pubblici ministeri che, in un interrogatorio del 17 giugno 2009, lo avevano informato del contenuto delle intercettazioni. I magistrati vogliono vederci chiaro su una presunta dazione di denaro data al neoministro da Gianni Lapis come corrispettivo per “favorire le società del ‘Gruppo Gas’ riconducibili a Lapis e Ciancimino, nonché in precedenza riconducibili, anche nell’interesse dell’associazione mafiosa, a Ciancimino Vito”. Si tratta quindi di una ipotesi di reato, tutta ancora da vagliare in sede di udienza preliminare. Il gip deve infatti ancora decidere se acconsentire alla richiesta di archiviazione o ad un prolungamento delle indagini. Ma in ogni caso, la nomina al dicastero dell’agricoltura non è sembrata la cosa migliore da fare per un politico che potrebbe anche diventare ufficialmente un indagato per mafia. La nomina del responsabile di un dicastero dovrebbe essere soggetta al principio di precauzione: non posso nominarti fin quando non chiarisci la tua posizione con i magistrati.
La contrarietà al 41-bis
Nel passato dell’avvocato Romano c’è anche qualcosa d’altro che disturba. Non certo un reato, ma una posizione che non si concilia affatto con la tanto decantata lotta alla mafia dell’attuale governo. La sua contrarietà a far diventare permanente il regime di carcere duro per i mafiosi, prevista dal famoso articolo 41-bis dell’ordinamento carcerario. Nel 2002 fu uno dei pochi deputati che votò contro la stabilizzazione di quel regime. Non era il solo, per la verità. Fra gli avvocati siciliani, molti dei quali difensori di boss mafiosi, erano numerosi coloro che difendevano il principio previsto dalla Costituzione, secondo cui la pena deve essere finalizzata alla rieducazione del condannato, ciò che, secondo loro, viene vanificato dal regime del carcere duro. Proprio quello che Cosa nostra chiedeva da tempo ai propri referenti politici e lo stesso Totò Riina aveva inserito nel suo ormai famoso “papello”.
Lo zio sindaco di Belmonte Mezzagno
Altro motivo di opportunità avrebbe dovuto ispirare il premier per scegliersi un altro ministro. Lo zio di Romano, Saverio Barrale, è il primo cittadino di Belmonte Mezzagno, feudo elettorale del neoministro. In questi giorni il Ministero degli Interni sta completando gli atti per procedere allo scioglimento dell’amministrazione comunale per le infiltrazioni mafiose. Soltanto ciò sarebbe stato sufficiente, in un Paese normale, ad evitare di assegnare la poltrona ministeriale, almeno fin quando l’avvocato siciliano non avesse chiarito il tutto.
Gli strepiti della destra
Il 6 aprile prossimo è fissata l’udienza davanti al gip, che in quella sede spiegherà perché non ha accolto immediatamente la richiesta di archiviazione proposta dal Pm Nino Di Matteo, secondo cui non ci sono elementi per sostenere l’accusa contro il ministro in un processo. Non si poteva attendere quella data per nominarlo? Probabilmente l’agricoltura italiana non ne avrebbe risentito in modo irreparabile. Ma il fatto è che la destra strepita, perché, affermano in modo davvero indecoroso, “non possono essere i magistrati a decidere la composizione del governo”. Si tratterebbe, ancora una volta, dell’eterna lotta fra Magistratura e Politica, una tenzone tutta inventata ovviamente dai gerarchi alla Giuliano Ferrara, che vorrebbero il ceto politico del tutto immune da qualsiasi controllo di legalità. L’impressione che se ne ricava è, come sostiene il deputato finiano Aldo Di Biagio, che “la nomina di Romano è un autogol per il premier, per tutto lo strascico di opacità che quest’uomo porta con sé e per le polemiche che si stanno avvicendando che vanno a scalfire il già limitato margine di credibilità di un Governo che si regge sulle minacce e sulla spartizione di poltrone come fossero caramelle”.