Riforma Senato, la sfida dei 22 Dem al Governo Renzi

ROMA – Il Premier corre, va veloce e punta dritto alla meta: obiettivo riforma elettorale, del Senato e modifica del titolo V della Costituzione. Sembrerebbe tutto deciso. La linea tracciata dal segretario del Pd, dopo l’incontro con Berlusconi, è definitiva.

Ma proprio questa risolutezza e velocità rischiano di essere i peggiori nemici di Renzi. In politica, anche quando si hanno i numeri, è sempre opportuno ascoltare la minoranza e verificare se esistono possibilità di migliorare delle norme che saranno fondanti per la vita istituzionale e strutturale del Paese. Soprattutto quando si tratta di provvedimenti che hanno bisogno di un ampio consenso in aula per essere efficaci e evitare il referendum confermativo. 

In questo clima si inserisce la proposta di 22 senatori del Pd che hanno presentato un testo sulla riforma della camera alta, proprio con l’intenzione di migliorare il testo, apportando maggiori risparmi alle casse dello Stato.

Il testo prevede il dimezzamento del numero dei parlamentari della Camera e del Senato, l’attribuzione alla sola Camera del voto di fiducia e dell’approvazione della legge di bilancio, l’attribuzione, invece, anche al Senato dell’esame e del voto delle leggi costituzionali, elettorali, dei trattati europei e dei provvedimenti che investano diritti fondamentali della persona. “La Camera sarà composta da 315 deputati, la metà degli attuali 630; il Senato da 100 eletti nelle Regioni (contestualmente al voto per i Consigli regionali) più 6 in rappresentanza degli italiani all’estero. Meno della metà degli attuali 315. Voglio sottolineare come tale proposta preveda una riduzione dei costi della politica ben superiore a quella prevista dal disegno del governo” afferma Vannino Chiti, tra i firmatari della proposta.

“Nessuno scontro e nessuna contrapposizione. Vogliamo solo portare un contributo concreto per superare il bicameralismo perfetto, tagliando in misura radicale i costi di Camera e Senato”. Così Felice Casson, senatore del Pd, parla a nome del gruppo dei 22 dem che hanno presentato – nel corso di una conferenza stampa a palazzo Madama – un disegno di legge costituzionale (Chiti, Albano, Amati, Broglia, Capacchione, Casson, Corsini, Cucca, D’Adda, Dirindin, Gatti, Giacobbe, Lo Giudice, Micheloni, MineoMucchetti, Ricchiuti, Silvestro, Spilabotte, Tocci, Turano, Buemi).

Altre proposte alternative a quella del Governo sono state presentate anche da Pippo Civati del Pd e da Mario Monti di Scelta civica.

Il governo sa bene che i numeri in Senato sono stretti e se una parte del Pd non dovesse votare la riforma si aprirebbe una frattura insanabile. In più il Premier deve fare i conti anche con le richieste pressanti dei forzisti di ridare priorità alla legge elettorale, richieste che potrebbero nascondere anche qualche sgambetto sulla riforma del Senato.

E le riforme sembrerebbero essere state anche al centro dell’incontro di ieri sera tra il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e l’ex premier Silvio Berlusconi, che avrebbe colto l’occasione anche per chiedere l’agibilità politica al capo dello Stato. Ma il Presidente della Repubblica resta sulle sue posizioni. Il Quirinale ha sottolineato che il colloquio è stato chiesto da Berlusconi. Fonti interne a FI riferiscono che l’ex premier avrebbe garantito il sostegno alle riforme ma allo stesso tempo chiesto garanzie sulle sue vicende giudiziarie. Intanto Renzi tira dritto e conferma la riforma del Senato in prima lettura entro il 25 maggio, ma il clima non sembra sereno, le nuvole all’orizzonte si fanno sempre più cupe, il premier lo vede e ricorda che se non passano le riforme non sarà solo lui ad andare a casa.

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