Libia. A Londra si discute il futuro di Gheddafi

ROMA – Domani a Londra ci sarà un incontro decisivo per definire il futuro delle azioni belliche in Libia. Il comunicato congiunto franco-britannico preliminare di oggi 28 marzo spiega molto bene di cosa si tratta. Schematicamente vediamo i punti salienti:

si prende atto del successo finora registrato dall’operazione militare per l’applicazione della risoluzione 1973 per proteggere la popolazione civile libica;
si riafferma l’inviolabilità della sovranità libica e del suolo libico, ribadita dalla stessa risoluzione;
si constata l’appoggio internazionale ampio all’intervento militare intrapreso;
si sottolinea come la Lega Araba abbia oramai considerato il ruolo di Gheddafi completamente delegittimato;
si afferma come il Consiglio Provvisorio Nazionale di Transizione (Interim National Transitional Council) insediatosi a Bengasi rappresenti al momento un interlocutore valido per il futuro assetto politico della Libia;
s’incoraggiano tutti gli sforzi per il dialogo nazionale, la riforma costituzionale e la preparazione di libere ed eque elezioni politiche invitando i partecipanti al vertice d’impegnarsi in tale direzione;
si sottolinea la crisi umanitaria ma anche la capacità della Libia d’affrontarla.

A quanto pare finora il tema caro al ministro degli esteri italiano Frattini della ricomposizione delle divergenze tra italiani, francesi e tedeschi non è in agenda. Nessun stupore perché solo i mass-media italiani ansiosi di restituire smalto al ruolo italiano avevano fatto una gran cagnara sulle divisioni tra Italia e Francia. Una volta che il ruolo di guida delle operazioni militari era formalmente passato alla Nato sotto l’ombrello ONU, che fin dal terzo giorno di fatto coordinava ogni azione bellica, la questione vera cioè il dopo Gheddafi è entrata di prepotenza nelle preoccupazioni dei leaders francese, britannico e statunitense. Ma non di quello italiano che il 21 marzo dichiarava con disarmante naturalezza “Sono addolorato per Gheddafi e mi dispiace. Quello che accade in Libia mi colpisce personalmente”. Non una parola sulle centinaia di corpi di libici straziati dalle bombe e dai proiettili delle milizie lealiste. C’è da immaginare che sia Sarkozy, sia Cameron abbiano definitivamente preso atto che il presidente del consiglio italiano non aveva ancora capito che il sanguinario rais libico era fuori dai giochi e che il problema del comando Nato era un goffo tentativo per aprire un opportunità a Gheddafi d’avere un interlocuzione con la coalizione impegnata nel rispetto della 1973. Non è quindi casuale il silenzio dello stesso Berlusconi dal 21 marzo e il suo imperioso ritorno ad occuparsi dei suoi processi e di come poter evitare le probabili condanne in tre dei quattro procedimenti a suo carico.

Berlusconi però si trova in buona compagnia. Ieri Angela Merkel piangeva di fronte ai risultati catastrofici delle elezioni amministrative: il suo goffo tentativo di tenere la Germania in un ruolo super-partes nella crisi libica ha ridotto Bonn alla passività. Non è improbabile però un coinvolgimento tedesco nel dopo Gheddafi, subordinato all’iniziativa franco-britannica. E’ noto che di fronte agli insuccessi in politica interna i leader tedeschi (e non solo) cercano sponde internazionali per ridare lustro all’azione di governo.
Altro compagno inconsapevole di ventura é Jean Ping portavoce dell’OUA organizzazione dei paesi arabi, noto per la sua inettitudine in tutte le crisi africane del suo decennale mandato. Il gabonese fino a stamane continuava ad esprimere il suo rammarico per l’inascoltato appello del suo gruppo di lavoro sulla crisi libica per una road-map che blocchi i bombardamenti aerei e metta sul tavolo tutti gli attori della crisi, Gheddafi in primis, che avrebbe secondo Ping da giorni accettato la mediazione dell’OUA.

L’irrilevanza del continente africano nella crisi libica è sicuramente il dato politico-strategico più preoccupante: assente al vertice di Parigi, che decise l’avvio dell’azione militare per il rispetto della 1973, l’OUA ha rincorso prima la Russia, poi la Lega Araba ed in ultimo l’Organizzazione degli stati americani alla ricerca disperata d’ascolto. Ma il gruppo di lavoro costituitosi, con l’imbarazzante presenza della Mauritania, storicamente alleata di Gheddafi, partiva largamente screditato, nonostante che il presidente mauritano avesse cambiato nel giro d’un ora il 22 marzo la sua ministra degli esteri Naha Mint Mouknass, prima donna nel mondo arabo a ricoprire tale ruolo, nota frequentatrice della casa (e non solo dicono i maligni) di Gheddafi ed architetta della celebrazione della festa del Mouloud (commemorazione della nascita del Profeta) allo stadio di Nouakchott nel marzo 2009 con Gheddafi nella parte dell’iman che benediceva una platea incredula incluso il “fratello” presidente AbdelAziz. Le dichiarazioni del presidente mauritano contrarie all’intervento armato hanno avuto l’onore d’essere ospitate nel Blog di Beppe Grillo e sono già una gag per i comici arabi. A tentare di risollevare le sorti del continente c’ha pensato il presidente del Ruanda Paul Kagamé che ha ricordato come il non intervento internazionale ha determinato nel suo paese la più grave ecatombe nella storia dell’Africa. Per il resto si può constatare che nel mondo web africano la simpatia verso Gheddafi sia inesistente nei blog e nelle maggiori community e, sicuramente, se i leader politici del Continente nero avessero un reale contatto con le loro popolazioni la posizione dell’OUA non sarebbe quella espressa finora.

Tuttavia esiste una concreta preoccupazione per i leader politici africani: la Libia di Gheddafi aveva finora assicurato all’OUA un cospicuo finanziamento pari ad un terzo dei fondi dell’Organizzazione. Certamente nei prossimi anni essi saranno ridotti in maniera drastica dai nuovi governanti libici, che non avranno più la necessità di comprarsi il sostegno dei piccoli dittatori e sultani africani dell’assise d’Addis Abeba. Le roi des rois, come tenne a farsi chiamare tra gli applausi Gheddafi quando nel 2008 prese la presidenza a turnazione dell’OUA, sapeva bene come piegare alle sue volontà i molti piccoli rois dell’Africa Centrale con la retorica dell’unità africana e dell’anticolonialismo, salvo poi mettere tutti i suoi averi nelle principali banche delle ex potenze coloniali. La fine di Gheddafi sta facendo tremare i polsi a molte cancellerie africane ed alcuni dei suoi più fidati alleati Wade, Campaore e Aziz non stanno attraversando un felice momento nei loro rispettivi domini Senegal, Burkina Faso e Mauritania. L’Africa dei popoli africani non ancora una voce nel consesso internazionale ed aspetta una primavera mai arrivata da almeno 50 anni.

Chi al contrario non sembra essere turbato della caduta del rais di Tripoli è il nuovo astro nascente della politica araba e Medio Orientale: il premier turco Recep Tayyip Erdogan che in un intervista di stamane su The Guardian si è proposto come unico reale mediatore del dopo Gheddafi, poiché ha mantenuto dei contatti concreti con l’ala moderata del regime del rais sanguinario e nello stesso tempo ha offerto assistenza tecnica al governo provvisorio instaurato a Bengasi. Per la Turchia il gas e il petrolio libico potranno diventare un utile alternativa di approvvigionamento ai consueti canali e progressivamente rimpiazzare il flusso di gas russo. Ed infatti chi non riesce proprio a digerire il nuovo scenario mediterraneo è Putin. Il suo ministro degli esteri Serghiei Lavrov è tornato a tuonare: «Noi consideriamo che l’intervento della coalizione in quella che è essenzialmente una guerra civile interna non è stato autorizzato dalla risoluzione del consiglio di sicurezza dell’Onu», ha dichiarato il capo della diplomazia russa, ribadendo comunque che la difesa della popolazione civile «resta la nostra priorità». La decisione della Nato di assumere il comando delle operazioni in Libia rispetta la risoluzione 1973 del consiglio di sicurezza dell’Onu ma il suo unico mandato – ha aggiunto Lavrov – deve essere quello di proteggere la popolazione civile. Non vi è dubbio che a Mosca la situazione sta sfuggendo di mano e la voce grossa sembra essere l’unica vera risorsa in mano a Putin per preservare i cospicui interessi russi in Libia. Ma a preoccupare moltissimo Mosca è anche l’evolversi imprevisto degli eventi in Siria dove un non meno spietato dittatore Bashar Al Assad, ma sano di mente per fortuna dei siriani, sta cercando in tutte le maniere di non fare la fine dei suoi omologhi tunisino ed egiziano, dopo aver tentato la strada della repressione. Se il regime di Damasco dovesse saltare per Mosca sarebbe una vera tragedia. E Lavrov non è Gromiko, lo straordinario ministro degli esteri sovietico ai tempi di Breznev riuscì a far credere all’Occidente (Cia e Mossad inclusi) che l’URSS fosse una prospera nazione socialista quando era oramai entrata nel tunnel della sua implosione. Putin dovrà ripassare tutti i manuali di strategia diplomatica del KGB per raddrizzare la posizione sempre più marginale che la Russia sta assumendo nello scacchiere internazionale, anche a causa di scommesse perdute: Gerhard Schröder e Silvio Berlusconi su tutte.

Chi invece continua a mantenere il basso profilo è la diplomazia cinese. Essa sa bene che il suo ruolo in questa crisi si giocherà tutto a New York nel Palazzo di vetro dell’Onu con le successive risoluzioni dell’Onu quando il cambio di regime sarà cosa fatta. E in maniera analoga la pensano India e Brasile che rispetto alle ricchezze energetiche libiche non chiudono le porte per future compartecipazioni.
Di certo c’è che gli oppositori anti intervento appaiono poveri d’argomenti non retorici e spiazzati dalla effettiva efficacia dell’azione bellica intrapresa. I goffi e ripetuti tentativi della propaganda di Gheddafi di denunciare stragi di civili quando si fa uso di scudi umani ha totalmente depotenziato l’effetto di catastrofe umanitaria sull’opinione pubblica mondiale. D’altro canto la migrazione biblica dalle coste libiche non è nemmeno più citata perché non si sta verificando, mentre iniziano ad apparire nei media internazionali le immagini del fallimento delle politiche migratorie italiane che erano state centrate tutte sull’accordo Italia-Libia (formalmente ancora in vigore) sui respingimenti via mare e i lager per stranieri di passaggio in Libia.

Ogni giorno varcano la frontiera con il Messico almeno 2500 clandestini, un dramma annualmente denunciato da Amnesty International nel silenzio assordante dei media internazionali. Eppure a nessun politico repubblicano, inclusa la fascista Sarah Palin, è passato per la mente l’ipotesi di fare un accordo con i potenti clan della droga per fermare il flusso, pur sapendo bene che la maggioranza dei gestori dell’ignobile commercio sono piccoli rais dello spaccio degli stupefacenti. Il governo italiano attualmente in carica ha al contrario pensato che per risolvere il problema migratorio fosse possibile lasciare carta bianca a Gheddafi, ossia colui che gestiva indirettamente e lucrava direttamente sul traffico nel canale di Sicilia. A ragione la Littizzetto a gridare “ma non lo sapevate che Gheddafi è un pazzo?”

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