ROMA – “Libero” e “Il Giornale” attaccano Giorgio Napolitano. Ieri il titolo di testa del quotidiano diretto da Maurizio Belpietro suonava così: “Napolitano sgambetta Silvio”. Quello dell’house organ di Arcore: “Napolitano contro il governo. Il comunista non ci sta”. Inutile fare commenti sull’aggettivo “comunista”. Sarebbe forse il caso di ricordare che suona meglio di “piduista”, ma lasciamo perdere.
UN PRESIDENTE INDIGESTO. Oggi la destra berlusconista insofferente di ogni regola e di ogni modello democratico continua a sbraitare sul monito del Quirinale. In un Paese con una maggioranza per bene sarebbe sufficiente ricordare quanto prescrive la legge, e in particolare l’articolo 5, comma primo, n. 1 della legge n. 400/1988 che regola funzioni e attribuzioni del Governo: Il Presidente del Consiglio “comunica alle Camere la composizione del Governo e ogni mutamento in essa intervenuto”. Ciò sarebbe sufficiente ad interrompere qualsiasi marasma parolaio e riconoscere che il richiamo presidenziale era più che dovuto.
Ma naturalmente questo avverrebbe in un Paese con una maggioranza di governo di galantuomini, rispettosi delle regole e delle prescrizioni ma non certo nel nostro. I gerarchi di regime si sono scatenati contro il Colle. Denis Verdini ha opposto: “Non voglio polemizzare col Presidente della Repubblica, ma questo richiamo mi sembra sbagliato. Coloro che sono passati in maggioranza hanno votato tutti la fiducia, quindi mi sembra strano. E faccio notare anche che dei nove nuovi sottosegretari sei sono stati eletti col Pdl”. Appunto, sei, mentre gli altri si sono presentati, nell’aprile 2008, con l’attuale opposizione. Quindi, per rispettare la legge, era necessario darne comunicazione alle Camere. Questo ha detto, nella sua nota di venerdì, il Presidente della Repubblica. Bisognerebbe che qualcuno lo spiegasse a Verdini.
BOSSI SI SMARCA. Quanto sia difficile la situazione per il regime berlusconiano lo ha però dimostrato lo smarcamento del leader della Lega Umberto Bossi. “Diciamo che riflettendoci sopra, devo chiedere scusa al presidente Napolitano sulla faccenda dei sottosegretari, perché ha ragione” ha dichiarato ieri Bossi. Un vero e proprio schiaffo a mano morta sulla faccia del magnate di Arcore e dei suoi gerarchi. Il leader leghista ha oramai un rapporto molto stretto con il Quirinale. Bossi ha notevolmente apprezzato l’adesione di Napolitano all’impianto federalista della “sua” riforma, esplicitato non solo negli atti (ieri il Presidente ha controfirmato l’ultimo decreto legislativo in materia) ma anche nelle dichiarazioni. Ciò gli impedisce di mettersi accanto al suo alleato di Arcore contro il Colle e ci tiene a dimostrarlo.
BERLUSCONI SI GIOCA TUTTO. Come sempre gli succede in campagna elettorale, il capo dei gerarchi sta conducendo la sua campagna elettorale milanese con attacchi ai magistrati di una violenza estrema. Ieri ha detto che i pm sono un “cancro” (concetto, si fa per dire, già abbondantemente utilizzato in passato). Ha bisogno di estremizzare il voto, mettendo gli elettori di fronte all’aut-aut: dopo di me il diluvio (cioè l’imposta patrimoniale che i “comunisti” introdurrebbero se andassero al potere, mentre l’ha già introdotta lui con quella comunale contenuta nella riforma federalista). Berlusconi ritiene che, se dovesse perdere Milano, la Lega comincerebbe a sfilarsi da un’alleanza che giudica oramai periclitante ed incerta, mettendo fine alle sue fortune politiche. Per Berlusconi questo è il pericolo più serio: la fine del suo dominio sul Parlamento e sul Governo vorrebbe dire ritrovarsi indifeso davanti alla magistratura. E questo è da sempre il suo unico orizzonte.