ROMA – Il 31 ottobre 2014 terminava con l’assoluzione di tutti gli imputati il secondo grado di giudizio del processo sul caso Cucchi. “Mio figlio è stato ucciso due volte” aveva detto la madre di Stefano in quella tragica giornata.
Ma la famiglia non si è mai fermata nella ricerca della verità e poco prima dell’arrivo della prescrizione, le confessioni di due carabinieri permettono la riapertura delle indagini. Adesso i carabinieri indagati sono cinque: due per falsa testimonianza, tre per lesioni aggravate. Secondo la sorella del ragazzo, ritrovato dai familiari in condizioni disumane dopo soli sette giorni dall’arresto, le nuove indagini sono un segno che Stefano ha voluto mandare. In questi giorni Ilaria Cucchi ha lanciato a sua volta un segnale forte: insieme al Comitato promotore ha organizzato un Memorial per ricordare Stefano. Una maratona, quella di sabato 31 ottobre al Parco degli acquedotti di Roma, che vedrà una grande partecipazione. Anche Articolo21 partecipa alla manifestazione organizzata per tornare “nei luoghi in cui pochi minuti portarono mio fratello verso il buio”. Ma sarà una giornata di luce promette Ilaria, proprio nel momento in cui le indagini sono ad una svolta.
Qual è il messaggio che vuoi lanciare con questa giornata dedicata a Stefano?
Sono passati sei anni dalla morte di Stefano e in questi sei anni abbiamo corso e non ci siamo mai fermati, siamo caduti e ci siamo sempre rialzati perché non abbiamo mai smesso di crederci. Non abbiamo mai smesso di sperare che quella stessa giustizia che sei anni fa uccise Stefano possa essere davvero giusta e uguale per tutti: adesso stiamo cominciando a vederlo. Esattamente un anno fa, il 31 ottobre, si chiudeva un processo che vedeva assolti tutti per insufficienza di prove. Quel giorno continuavo a ripetere “Abbiamo vinto” perché se la giustizia non era stata in grado di essere tale anche per Stefano, in realtà fuori da quell’aula tutti avevano capito. Il Memorial di domenica è legato proprio al momento di svolta che adesso vive la nostra vicenda giudiziaria.
La testimonianza di due carabinieri all’avvocato Anselmo ha riaperto le indagini. Dopo il processo che ha visto tutti assolti, avresti mai pensato ad un nuovo inizio?
Io sapevo che non poteva essere finita lì. Ho continuato a crederci. Io e il nostro avvocato Fabio Anselmo, che c’è sempre stato e continua ad esserci sempre, lo sapevamo. È come se Stefano avesse mandato un segnale proprio quando, con l’avvicinarsi della prescrizione, si poteva veramente iniziare a perdere le speranze. E l’altra novità è la vicinanza della Procura di Roma a dimostrare che arrivare alla verità sulla morte di Stefano e ricercare la giustizia non è una cosa che sta a cuore solo a me o al mio avvocato. Anche per questo siamo ad una svolta importantissima. E per questo ho deciso di ricordare l’anniversario della morte di Stefano: sarà un momento di riflessione ma anche di speranza, di luce e di affetti. Ricordo la sensazione dopo la morte di Stefano: mi si stava comunicando con un’autopsia che mio fratello non c’era più e capivo che dall’altra parte non sarebbero mai arrivate risposte. Oltre al dolore lancinante, una sensazione di solitudine.
Tra gli indagati adesso ci sono i carabinieri che perquisirono la casa dei tuoi genitori la sera dell’arresto
E che rassicurarono i miei genitori. Che dissero che Stefano per così poco sarebbe tornato a casa il giorno dopo. I miei genitori chiesero anche se dovevano avvisare l’avvocato di Stefano ma la risposta fu che non c’era bisogno, perché Stefano l’avvocato lo aveva già chiamato. Il giorno dopo Stefano si trovò in udienza con un avvocato d’ufficio a lui sconosciuto. È terribile la sensazione di quanto poco sia contata la vita di Stefano.
Cosa ti aspetti dalle nuove indagini?
La verità. Non quella che vorrei io ma la semplice verità su quello che è accaduto a Stefano in quei giorni. Nessuna vendetta, nessun colpevole a tutti i costi ma che la si smetta di parlare di lesioni e di dire che sarebbe morto anche a casa sua. Stefano è stato ucciso. La vittoria sarebbe quella di restituirgli la dignità.
C’è un altro processo che ti vede coinvolta da quando il Coisp, sindacato di polizia, ti ha denunciata per diffamazione
In questo processo sono in buona compagnia: insieme a Lucia Uva e Domenica Ferrulli. I sindacati di polizia andarono a manifestare sotto l’ufficio della madre di Federico Aldrovandi: fu e lo è tuttora, scioccante e avvilente il modo in cui i sindacati presero le parti di colleghi condannati o accusati e il fatto che puntualmente vengono offese le famiglie di chi ha già subito delle tragedie. In seguito alla lettera di solidarietà che in quell’occasione inviammo a Patrizia Moretti, la mamma di Federico, siamo state querelate. Vengo anche accusata dal sindacato di polizia di istigare all’odio nei confronti delle forze dell’ordine quando chi mi conosce, chi ha seguito la vicenda, sa che io non ho mai fatto di tutta l’erba un fascio. Ci sono persone in divisa che commettono reati terribili ma la stragrande maggioranza rischia la propria vita per tutelare la nostra. Continuo però a chiedermi: perché le persone che sbagliano non vengono messe nell’angolo? In ogni caso, anche se gli avvocati del sindacato di polizia si sono opposti e quindi il Gip dovrà pronunciarsi, il PM ha chiesto l’archiviazione del caso.
Da dove viene la forza per affrontare tutto questo?
La forza che noi abbiamo è la forza della verità. Che ci viene data da tutte le persone che continuano innanzitutto a stare accanto a Stefano. L’iniziativa del 31 ottobre vuole essere esattamente questo: trovarci insieme in un momento di riflessione, di speranza e di luce.