BARCELLONA – “Yo no te espero”, ovvero “Io non ti aspetto”. Sembra questo il grido di battaglia pronto ad essere lanciato dal fronte laico catalano contro la visita del Pontefice a Barcellona, attesa il prossimo 7 novembre per la consacrazione della Sagrada Familia.
Una compagine ampia ed eterogenea, che riunisce al suo interno le attiviste femministe, i laici, gli atei, i sindacalisti, la comunità lesbo-gay- trans e perfino i cattolici più critici.
Le iniziative contro la presenza in Catalogna di Papa Benedetto XVI si susseguono ormai da giorni, con conferenze, “flash mob” da parte di gruppi di omosessuali, distribuzione di magliette, bandiere e cappellini che invitano più o meno esplicitamente i catalani a boicottare l’evento.
Nonostante la lotta comune il “frente Anti – Benedetto” è meno compatto di quanto sembri, con i gruppi laici e progressisti in prima linea nelle agitazioni e le accuse reciproche di protagonismo che rimbalzano da una componente all’altra. Ci si divide anche sui motivi della contestazione: dai temi più “classici”, come l’aborto o il divorzio, alla scarsa considerazione delle unioni di fatto, passando per le polemiche sulla fecondazione assistita e sulla ricerca sugli embrioni. Argomenti scottanti, ma non unici nei “cahiers de doléances” della popolazione catalana. Buona parte degli abitanti di Barcellona, infatti, contesta l’ingente somma di denaro che l’amministrazione pubblica si predispone ad erogare per la visita del Pontefice, ravvisandovi un danno per le altre confessioni religiose presenti sul territorio, orfane di un simile trattamento di favore. “Non contestiamo tanto la visita del Papa – dichiara alla stampa spagnola Jofre Villanueva, segretario generale del Movimento Laico e Progressista – quanto il comportamento tenuto dalle autorità nei confronti di questo evento”.
Gli occhi, critici, di molti catalani sono puntati anche sulle misure di sicurezza predisposte in occasione della visita pastorale, considerate a dir poco eccessive. “Ci hanno avvertito che, se affittiamo il nostro appartamento nel prossimo weekend, tutto ciò che potrebbe accadere sarà sotto la nostra responsabilità”, si lamenta un residente del quartiere adiacente alla Sagrada Familia, che aggiunge di aver ricevuto il divieto di uscire da casa la sera prima dell’evento, pena il rischio di non potervi rientrare fino alla domenica pomeriggio. Una zona che si appresta, dunque, ad affrontare un’invasione di turisti e un impatto gravoso sulla viabilità e il traffico senza precedenti. Eventualità, anzi certezza, mal digerita dagli abitanti del quartiere.
Per un fronte che protesta, tuttavia, un altro respira a pieni polmoni una nuova ventata di orgoglio nazionale. La visita del Pontefice, infatti, rappresenta per i settori nazionalisti cattolici l’occasione per riaffermare il sentimento di appartenenza ad una comunità che ha “coscienza di nazione”, così come proclamato in un manifesto con cui trentasei autorità politiche chiedono a Benedetto XVI di officiare l’intera funzione in lingua catalana. Ma le speranze di chi vede nella visita del capo di Stato Vaticano una sorta di legittimazione delle aspirazioni indipendentiste catalane hanno ricevuto una prima doccia fredda da parte dello stesso Governo di Catalogna, intento a smorzare gli entusiasmi con una netta presa di distanza dal “manifesto dei trentasei”. La seconda battuta di arresto, invece, è arrivata dal portavoce della Santa Sede padre Federico Lombardi il quale, in un’intervista, ha assicurato che il Papa “vuole bene alla Spagna e al popolo spagnolo”. Un invito all’unità in grado di scoraggiare perfino chi si ostina a credere che l’uso del catalano da parte del Pontefice possa almeno portare all’affermazione di una chiesa cattolica catalana indipendente da quella di Madrid.