ROMA – Ancora pochi giorni di vacanza, e poi la macchina del Parlamento si rimetterà in moto per approvare la manovra aggiuntiva varata per decreto dal governo Berlusconi. Al Quirinale i contenuti delle misure sono arrivati praticamente in tempo reale e Giorgio Napolitano ha messo al lavoro il suo staff per l’esame del provvedimento in modo da poter emanare il decreto in serata. Il cammino del provvedimento partirà lunedì 22 agosto al Senato: il presidente dell’assemblea di Palazzo Madama ha preso contatto con i capigruppo di maggioranza e opposizione per stabilire un calendario di massima, trovando tutti d’accordo sulla riapertura anticipata del Palazzo. L’obiettivo è di portare il decreto in Aula lunedì 5 settembre, per poterlo votare il giorno seguente. Ma un calendario così ravvicinato significa poco se non si costruisce in Parlamento un clima di collaborazione. A chiedere alle forze politiche di non farsi tentare dalle polemiche è stato nuovamente Giorgio Napolitano. «Resta ferma la necessità di un confronto aperto in Parlamento e sul piano sociale attento alle proposte avanzate con la responsabilità che l’attuale delicato momento richiede», ha voluto ribadire il capo dello Stato.
Sono le stesse preoccupazioni di Schifani. Il presidente del Senato, dopo aver risolto i problemi di calendario, si è augurato che la discussione sulla manovra aggiuntiva non sia «blindata» e che governo e maggioranza non chiudano la porta alle modifiche che saranno chieste dall’opposizione. «Ho apprezzato la decisione del presidente del consiglio – dice Schifani – di non mettere preventivamente la fiducia, decisione confermata oggi da Tremonti. A questo punto confido che questa scelta si accompagni alla volontà di considerare la manovra come un cantiere aperto, dove possano essere prese in esame alcune proposte dell’opposizione in una logica di collaborazione tra tutte le forze politiche». «Quando si chiedono sacrifici ai cittadini – prosegue Schifani – nulla è perfetto e tutto è perfettibile. Il confronto, quindi, è doveroso e utile per verificare se le ragioni degli altri contengano elementi che inducano a rivedere le proprie scelte iniziali. Il percorso parlamentare che stiamo tracciando assicurerà un esame tempestivo e non prolungato nel tempo della manovra ma consentirà anche la possibilità, sia in commissione sia in Aula, di poter lavorare tutti insieme in modo costruttivo». Sarà per il pressing di Napolitano e le aperture di Schifani, sarà per un clima già buono in partenza, l’impressione è che il 22 agosto il governo non troverà le barricate in Parlamento. Anche il premier si è detto sicuro del fatto che alle Camere «non ci saranno scossoni», rivelando di aver consultato l’opposizione sui contenuti della manovra e di aver accolto alcune indicazioni.
Le opposizioni: “Manovra iniqua e depressiva”
Una manovra «iniqua», «depressiva» e che «tartassa i soliti noti». Il giorno dopo il via libera del governo al decreto anticrisi, non cambia nei toni il giudizio delle opposizioni che però, confidando anche sull’intenzione dell’esecutivo di non porre la fiducia sul provvedimento, non si tirano indietro e, da Di Pietro a Casini fino a Bersani, assicurano che in Parlamento faranno la loro parte. Certo, il clima che il governo troverà nelle aule parlamentari non sarà proprio disteso: se da una parte Casini dà atto al governo di essersi «finalmente svegliato», il parere unanime delle opposizioni sulle misure è complessivamente molto negativo, perchè , si sostiene, incidono sui «cittadini onesti» che già «pagano le tasse», mentre non toccano «furbi» ed «evasori» nè mettono in campo interventi adeguati per il rilancio dell’economia. Ciò nonostante, spiega sempre Casini, l’Udc risponderà «con senso dello Stato». Stessa linea dell’Idv, già anticipata dal leader, Antonio Di Pietro, che pone però come condizione per non avere «la nostra dura opposizione» l’ «umiltà e responsabilità del governo» di «non porre la fiducia sul provvedimento». L’ex pm, insomma, si dice pronto a collaborare, a patto che in Parlamento non arrivino «polpette avvelenate». E alla fine, anche i democratici si stanno portando su una posizione simile. Perchè se è vero che i commenti più duri arrivano proprio da Bersani, che parla di manovra «inadeguata e poco credibile rispetto alla sfida che il paese ha di fronte» e «fortemente iniqua sul piano sociale e fiscale», è altrettanto vero che il Pd «non si sottrae alla sfida». Anzi, in una lunga nota, il partito mette nero su bianco una lista di sette proposte da passare al vaglio delle Camere, per correggere il decreto e «offrire al Paese un’alternativa credibile, più efficiente, più giusta, in modo che l’Italia possa voltare pagina e riprendere il suo cammino di crescita».
Idee, dice Rosy Bindi, che il governo dovrebbe «recepire» perchè la manovra, così com’è, «non piace a nessuno» e non ci si può certo accontentare «dei complimenti di Merkel o Sarkozy» che peraltro, non fanno altro che dimostrare «che il governo è commissariato». Tra le idee del Pd, dismissioni di immobili pubblici, liberalizzazioni, investimenti su tecnologia e ricerca, lotta all’evasione e un prelievo ‘una tantum’ su chi ha esportato capitali all’estero illegalmente e ha poi usufruito dello scudo fiscale, ipotesi ben vista anche da Di Pietro. Idee che peraltro il Pd invita anche Bankitalia e parti sociali a valutare, insieme al testo proposto dall’esecutivo, in modo da «aprire un confronto – come spiega il segretario – volto a perfezionare la proposta alternativa» . Un capitolo a parte, che già si preannuncia come terreno di forte scontro, sarà certamente quello del lavoro. Gli interventi previsti dalla manovra, infatti, vengono sonoramente bocciati sia dai democratici che dai dipietristi. Quello di Sacconi, dice il responsabile Economia del Pd Stefano Fassina, è «un disegno reazionario» che va «stralciato dal decreto» perchè la materia va «affidata alle parti sociali». Dello stesso parere l’Idv, che con Maurizio Zipponi chiarisce che «la manovra del governo sul lavoro, ispirata dal ministro della disoccupazione, Sacconi, è un misto fra un estremismo ideologico, nell’attacco alla statuto dei lavoratori, e una marchetta agli azionisti della Fiat» che va «contro i lavoratori» ed è «incostituzionale».