Mafia. Dell’Utri il mediatore tra politica e Cosa nostra

ROMA – Fu  Marcello Dell’Utri a svolgere il ruolo di mediatore tra Cosa nostra e politica.

E’ questo che si apprende dalle motivazioni oggi depositate, presso la Cancelleria della seconda sezione della Corte d’Appello di Palermo, del verdetto emesso lo scorso 29 giugno dalla Corte d’Appello di Palermo,  nel quale il senatore del Pdl fu condannato  a 7 anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa e il cui ruolo –  come sottolineano i magistrati – fu quello di aprire un canale tra politica e la criminalità organizzata  fino al 1992, anche se i magistrati precisano che non c’è una prova certa che sia stato stipulato un  patto  politico-mafioso. Tant’è, come ricordano i magistrati, che”fino al 1993 i vertici mafiosi, e in particolare Leoluca Bagarella, erano impegnati a promuovere una propria formazione politica  Sicilia libera di intonazione autonomista.” Successivamente però il progetto venne accantonato perchè intanto era nata Forza Italia. Tuttavia l’appoggio elettorale dato al partito di Berlusconi non darebbe certezze sull’esistenza di un accordo. “Nè sussistono prove – scrivono ancora i giudici – che la pretesa promessa e l’impegno asseritamente assunto dal politico, effettuata una verifica probatoria ex post della loro efficacia causale, abbiano fornito dall’esterno un apporto alla conservazione o al rafforzamento dell’associazione mafiosa di per sè incidendo immediatamente ed effettivamente sulle capacità operative dell’organizzazione criminale, per esserne derivati concreti vantaggi o utilità per la stessa o per le sue articolazioni settoriali coinvolte dall’impegno assunto”.

Nel corposo fascicolo spunta ancora il nome dello stalliere di Arcore, Vittorio Mangano, il pluriomicida della mafia morto nel 2000 e definito da Paolo Boprsellino una delle teste di ponte dell’organizzazione mafiosa nel Nord Italia. Mangano sarebbe stato assunto – come affermò l’accusa – per tutelare l’incolumità del premier Silvio Berlusconi, ma in realtà il vero obiettivo era quello di avvicinarsi al cavaliere e rafforzare il sodalizio mafioso con l’imprenditore di Arcore, che già allora faceva presagire, così com’è stata, un ascesa imprenditoriale senza eguali. Per questi motivi la Corte ritiene  certamente configurabile a carico di Dell’Utri il contestato reato associativo.  Berlusconi tra l’altro avrebbe pagato  ingenti somme di denaro in cambio della protezione alla sua persona e ai familiari. La vicenda dei pagamenti da parte del Cavaliere s’intreccia, secondo i giudici, con altri versamenti per la “messa a posto” della Finivest che all’inizio degli anni ’80 aveva cominciato a gestire alcune emittenti televisive in Sicilia.

Intanto Marcello dell’Utri, appresa la notizia, ha così commentato: “I giudici hanno ricicciato le stesse cose della sentenza di primo grado. Sono sostanzialmente le stesse accuse del primo processo.” E poi: “È una materia trita e ritrita  non c’è nulla di nuovo sono tutte cose che abbiamo già visto”. Detto questo il senatore continua a dirsi fiducioso.”  Adesso saranno i suoi legali cassazionisti ad occuparsi del caso.

Nel frattempo le motivazioni della sentenza hanno scatenato le prime reazioni, e c’è chi pensa sia doversoso che sia Dell’Utri che Berlusconi si dimettano immediatamente dai loro incarichi.

Vi riproponiamo il video dell’intervento che Berlusconi fece in difesa dell’amico Dell’Utri alla riunione di Montecatini l’11 novembre del 2007. Il premier in quell’occasione difese  con tutte le forze il senatore e nell’occasione tirò in ballo anche Vittorio Mangano,  condannato all’ergastolo per il duplice omicidio di Giuseppe Pecoraro e Giovambattista Romano. Lo stalliere fu indicato al maxiprocesso di Palermo da Tommaso Buscetta e Totò Contorno come l’elemento chiave tra Cosca siciliana e lombarda.

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