ROMA – È stato presentato questa mattina il “Rapporto ACS 2010 sulla Libertà Religiosa nel mondo”, realizzato dall’Aiuto alla Chiesa che Soffre.
Dall’indagine emerge che sono circa 5 miliardi le persone a cui la libertà religiosa è limitata, interdetta e repressa. La discriminazione riguarda, seppure a livelli diversi, tutti i continenti: America, Africa, Europa e Asia; e interessa il 70% della popolazione mondiale. Si parla molto di strumentalizzazione della religione da parte del mondo politico: la conseguenza che ne deriva è che il cittadino con pieni diritti è soltanto quello che professa la religione dominante, mentre le minoranze religiose sono, nel migliore dei casi, tollerate oppure viste come un pericolo per la stabilità sociale.
Il rapporto, a cadenza biennale, comprende 194 schede di paesi, pubblicate in ordine alfabetico e per aree geografiche. Il periodo preso in esame è quello compreso tra il gennaio 2009 e l’aprile 2010. È stato tradotto in sei lingue: inglese, italiano, francese, spagnolo, portoghese e tedesco. Ed elaborato attraverso diverse fonti: quotidiani, periodici, agenzie, siti web, rapporti sul tema, dati raccolti da associazioni per i diritti umani. I dati statistici arrivano dall’Annuario statistico della Chiesa cattolica, dal World Christian database, dall’Unhcr e dall’Internal displacement monitoring centre del Consiglio norvegese per i rifugiati. Si tratta di un’opera di diritto pontificio; l’istituzione cattolica sostiene 5500 progetti in 140 Paesi.
Il rapporto offre una visione del fenomeno a livello mondiale. Si parte da alcuni stati come Cuba ad esempio, dove si sta assistendo ad aperture con “l’autorizzazione a compiere atti religiosi precedentemente proibiti”. In Etiopia sostiene il rapporto “a fronte di una legislazione esemplare dal punto di vista della libertà religiosa, presenta purtroppo episodi di intolleranza sociale soprattutto nelle aree in cui è presente una maggioranza islamica”. Tra i paesi con maggiori restrizioni ci sono India e Cina con circa 2,5 miliardi di persone a rischio per motivi religiosi e di culto. In Cina “secondo diverse fonti, vi sarebbero decine di sacerdoti cattolici in prigione o nei campi di lavoro forzato. E una decina di vescovi sarebbe in isolamento”. Alla conferenza doveva prendere parte anche il ministro degli Esteri Frattini, che per sopraggiunti impegni istituzionali non ha presenziato. In un messaggio di saluto ha ribadito l’impegno dell’Italia nella protezione della libertà di religione e nella tutela di appartenenti a minoranze religiose. “La discriminazione basata sulla religione non interessa una singola confessione né riguarda una specifica regione del mondo. (…) Fin dal 2009 l’Italia ho promosso in seno all’Ue un piano di azione coordinato per sostenere la libertà religiosa e la protezione dei diritti delle persone appartenenti a minoranze religiose”. Il rapporto ha analizzato soprattutto la libertà di professare la religione cattolica nel mondo. In totale, e secondo diversi rapporti internazionali sarebbero “50 milioni i cristiani vittime di i persecuzioni, disprezzo, discriminazioni”.
Padre Giulio Albanese, missionario e fondatore dell’agenzia di stampa Misna, che ha moderato il dibatto, si è soffermato a lungo sulla convinzione, diffusa soprattutto fra i paesi dove la libertà è negata, che “i cristiani siano portatori di interessi occidentali”. Ritorna sullo stesso argomento anche René Guitton, autore del libro ‘Cristianofobia’. “C’è una confusione,” sostiene Guitton “fatta non solo dagli estremisti, per cui l’Occidente è cristiano. E quindi i cristiani di casa loro sono alleati di quei cristiani che li hanno invasi mille anni fa, e di quelli che continuano ad invaderli”. Lo scrittore ribadisce la necessità di difendere la libertà di professare qualsiasi credo, affinché ogni minoranza religiosa sia libera della propria scelta di coscienza. Ha parlato anche delle tragiche condizioni dei cristiani in Iraq: “I cristiani in Iraq e nell’Oriente non sono un’escrescenza occidentale. Abitano in queste terre fin dalla nascita del cristianesimo. Sono arabi e iracheni e vogliono rimanere lì”.