Liberalizzazioni. Il coraggio di Monti e la vittoria delle corporazioni più ricche

 

I 44 articoli del decreto rappresentano un atto di coraggio che nessun governo, a parte quello di Prodi, aveva mai espresso. Ma banche ed assicurazioni non sono toccati e farmacisti e notai, pur appena sfiorati, promettono la guerra

Per capire veramente il potere delle corporazioni in Italia basta considerare la situazione dei farmacisti di fronte alle “ lenzuolate” approvate con il decreto dal governo Monti. Continueranno a vendere in esclusiva i farmaci della fascia C, cioè quelli che i consumatori pagano di tasca propria e che generano pronta liquidità, battendo con un colpo alla nuca le speranze delle parafarmacie, che si erano candidate a spezzare il monopolio della corporazione dei farmaci. Eppure, le loro rappresentanze hanno annunciato la serrata. Perché? Perché vogliono addirittura stravincere ed eliminare, con un tratto di penna anche la norma che ha disposto l’apertura (per concorso) di 5000 nuovi punti vendita, a vantaggio di giovani neo-laureati, altrimenti costretti a campare con uno stipendio da commessi. Le rappresentanze sindacali dei poveri titolari protestano: “Il governo ci vuole affamare. Con tutte le nuove farmacie che vogliono insediare non avremo più reddito”. Una situazione davvero drammatica per loro.

LENZUOLATE DESTINATE AL RATTOPPO. Anche i notai e gli avvocati annunciano proteste. I primi, professionisti da milioni di euro di ricavi all’anno, saranno colpiti dalla messa a concorso di altri 1.500 posti di lavoro (attualmente i notai sono, in tutta Italia, appena 4.500), mentre i secondi vorrebbero che il governo accettasse la “ loro” riforma della professione, che prevede tariffe minime e massime per le parcelle e nessun obbligo di preventivo. Insomma, lo “status quo” medievale in cui ingrassano da secoli. Qualcosa ci dice che, nell’iter parlamentare di conversione in legge del decreto, i rattoppi saranno più di uno. Scommettiamo qualsiasi cifra che i farmacisti riusciranno, anche questa volta, ad uscire indenni dal provvedimento e che arriverà il maxi-emendamento che cancellerà buona parte dei nuovi punti vendita, unitamente ai 1.500 nuovi notai.

UN’OPERAZIONE DI FACCIATA. In realtà, il decreto Monti presenta molte buone intenzioni. È la prima volta che, in Italia, si tenta di limitare il potere di ricatto di corporazioni che tengono in ostaggio l’economia di questo Paese, scaricando interamente sui consumatori l’onere delle loro ricchezze. Un buon segnale, certo, soprattutto se paragonato alla staticità cadaverica del governo Berlusconi che, nonostante dovesse compiere la “rivoluzione liberale”, si era sempre guardato bene dall’intaccare gli interessi corporati del proprio elettorato. Ma, una volta ammessa la buona volontà di questo governo, bisogna riconoscere che i 44 articoli approvati dal Consiglio dei ministri presentano molte lacune. Il potere delle banche è lasciato intatto. È previsto l’obbligo dell’apertura di un conto corrente di base sul quale appoggiare carte di credito e pos a zero commissioni ma nulla è stato previsto sul fatto che gli istituti di credito sono organizzati come un grande cartello, che decide prezzi e margini attraverso l’ABI, cioè l’Associazione bancaria italiana, la corporazione più grande e ricca. Per aprire veramente alla concorrenza il settore bancario sarebbe stato necessario prevedere le funzioni dell’ABI e magari abolire quelle clausole contrattuali che, rifacendosi agli “usi”, consentono un potere illimitato alle imprese del settore, che riescono a imporre le loro condizioni al popolo dei consumatori.

CARBURANTI E TASSISTI. Non siamo appassionati difensori dei tassisti ma certo la loro è la “corporazione” più debole e messa peggio rispetto alle altre. Non dovrebbero però lamentarsi come fanno. Rispetto ai lavoratori dipendenti, ad esempio, pagano le tasse che vogliono (in media, 14 mila euro l’anno, in base agli studi di settore) e il resto se lo mettono in saccoccia, comprese le mance. Che siano pochi nelle grandi città, è un dato innegabile ed un aumento delle licenze gioverebbe assai ai consumatori. Detto ciò, forse la loro violenza verbale ha nuociuto alla loro “battaglia”. Il governo ha affidato all’Authority dei trasporti la competenza a decidere sul numero delle licenze e non più ai Comuni, i cui sindaci sono ovviamente attanagliati dal problema della loro rielezione. Nessuno, ad eccezione dei tassisti, può dire che non sia una decisione saggia, perché nessun sindaco ha la capacità di prendere una decisione contraria a qualcosa come mezzo milione di voti. Stesso discorso per i benzinai. Il provvedimento preso dal governo gli farà un baffo e soprattutto coinvolgerà una minoranza delle pompe di benzina, che non potranno acquistare carburante da altri produttori se non nella misura del 50%. In compenso si offre loro la possibilità di vendere giornali e altri generi di consumo (una cosa che, peraltro, già fanno in molti punti vendita). Calerà il prezzo della benzina? Ma credete ancora alle favole?

 

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