Giornali-fantasma e finanziamenti pubblici. Lo scandalo duro a morire

 

I fautori della greppia di Stato propongono di rimpinguare il fondo per l’editoria con il ricavato della vendita delle frequenze televisive. Ma si può continuare a sperperare denaro pubblico per quotidiani che nella realtà non esistono?

“Il cittadino oggi” e “Il Corriere nazionale” , editi dalla cooperativa di giornalisti “Grafic Editrice”  hanno usufruito di un contributo pubblico di 2.338.600,46 nel 2010. “L’Avanti!”, la gloriosa testata socialista finita nella mani di un grossista di pesce, Valter Lavitola, ha incassato ben 2.530.640,81. “Ottopagine”, un quotidiano ovviamente di otto pagine, ha riscosso 1.158.993,90, mentre “ Scuola Snals”, organo del potente sindacato, già democristiano, della scuola, si appropria di 1.716.689,68. Ma non è finita perché alla capiente greppia statale si nutrono anche alcuni periodici, noti probabilmente soltanto allo stampatore, come “Erre, Ricerche, Resistente, Rivoluzioni”, che usufruisce di un contributo di 18.941,95, o il fondamentale (per la storia del giornalismo patinato) “Luna nuova”, che addirittura si appropria di 506.660,00.

In questo arraffare scomposto e scandaloso potevano mai mancare i giornali di partito? Certo che no. Ecco, dunque, che “Il Foglio” di Giuliano Ferrara incamera 3.441.668,78, nonostante l’appassionata fede nella “rivoluzione liberale e liberista” da parte del suo direttore, “ La Voce repubblicana” 634.721,66, “Il Denaro”, con un titolo che difficilmente poteva essere più azzeccato, 2.455.232,22, “La Padania” , coraggioso organo di denuncia di “Roma ladrona”, incassa 3.896.339,15 che vengono proprio da Roma. Naturalmente, non mancano i giornali confessionali: il buddista “Il Nuovo Rinascimento” ha un contributo di 96.800 euro, così come “La Fedeltà”, organo della misteriosa “Confraternita di San Rocco” si becca la bellezza di 91.259,80.

SOLDI BUTTATI DALLA FINESTRA. È incredibile come nell’era in cui un settore fondamentale per la crescita culturale ed economica come l’istruzione pubblica abbia dovuto fare a meno di 8,5 miliardi, a causa della criminale politica di tagli di Giulio Tremonti, si finanzino ancora imprese editoriali fantasma, quotidiani e periodici che nessun edicolante ha mai visto, molti dei quali sono destinati ad un uso intensivo nei mercati di uova e nelle botteghe di ferramenta, per incartare la mercanzia.

Eppure, dato che, attaccati alla greppia statale, risultano essere comunque operatori dell’informazione, protetti da sindacati e imprese editoriali, si leggono decine di giustificazioni per questo vero e proprio latrocinio di Stato: bisogna salvaguardare il pluralismo dell’informazione, si devono tutelare migliaia di posti di lavoro, è la televisione che uccide la libera stampa e via cianciando. Giustificazioni fasulle, perché qualcuno di coloro che sono ovviamente implicati nella riscossione di questi contributi, dovrebbe spiegare quale decisivo apporto può dare al pluralismo informativo un quotidiano o un periodico che stampa qualche centinaio di copie al giorno o a settimana e che finisce immediatamente al macero.

CHIEDONO 100 MILIONI DI EURO. Secondo i fautori del finanziamento delle testate, la decisione del governo Monti di tagliare il fondo per l’editoria a partire dal 2014 è un atto liberticida. Al contrario, ci vorrebbe un fondo annuale addirittura di 100 milioni di euro, presi dalla vendita delle frequenze televisive. “Può un governo tecnico così autorevole diventare – certo senza volerlo – complice della chiusura di 100 testate nazionali e locali, della disoccupazione di 4000 persone, della crisi di un intero indotto?” scrivono Vincenzo Vita e Giuseppe Giulietti su “Articolo 21” ma è la solita giustificazione, fondata sul ricatto occupazionale, che non rende conto del perché si debbano dare soldi pubblici a personaggi come Valter Lavitola e a cooperative e giornali fantasma, che nella realtà non esistono e quindi non possono svolgere alcuna funzione sociale, tanto meno incrementare il “pluralismo informativo”.

LA POLEMICA DEL “MANIFESTO”. Naturalmente, non tutti i giornali finanziati con soldi pubblici sono prodotti-fantasma. “Il Manifesto” , fondato nel lontano 1969 da comunisti eretici, per questo espulsi dal Pci, giornalisti raffinati come Luigi Pintor e Rossana Rossanda, è sicuramente un prodotto che andrebbe aiutato. Ma qualche perplessità rimane. Ad esempio: chi e che cosa decide che “Il Manifesto” debba avere un finanziamento pubblico e “Il Fatto”, fondato nel 2010, invece no? E in base a quale filosofia bisogna aiutare un giornale che non ce la fa a stare sul mercato con le proprie gambe e che quindi senza i soldi pubblici muore mentre un altro che ce la fa benissimo non merita nemmeno una tazzina di caffè?

Il grande quesito lo propone proprio l’esistenza del quotidiano diretto da Antonio Padellaro, che in meno di due anni ha dimostrato di poter stare sul mercato, incassando anche discreti profitti quasi interamente dalle vendite e dagli abbonamenti. Ma non sarà che la maggior parte dei giornali ha bisogno di finanziamenti pubblici semplicemente perché non hanno lettori? E non hanno lettori semplicemente perché sono fatti male? E sono fatti male perché i giornalisti che li producono non sono capaci? E perché il cittadino deve finanziare giornalisti incapaci?

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