Unione europea, il peccato originale

ROMA – Le difficoltà che sta incontrando l’Europa nel recuperare risorse sufficienti per un concreto rilancio economico, in risposta ai venti di recessione, sono sotto gli occhi di tutti.

La crisi economica mondiale ha fatto riemergere la mancanza di una reale autonomia finanziaria dell’Unione europea. La giornata di mobilitazione organizzata questa settimana dai sindacati europei contro le politiche di austerity, imposte finora dal rifiuto dei maggiori paesi dell’Unione di finanziare un massiccio piano di rilancio dello sviluppo e dell’occupazione, ha avuto una grande adesione e ha messo tutti davanti a una situazione drammatica. In molti paesi dell’Unione e’ ormai in pericolo la stessa tenuta democratica, con l’avanzata di forze populiste, xenofobe e anti-europee. Le istituzioni sono pressate dalla rabbia che cresce in vasti strati della società, per l’inerzia di una politica scossa dagli scandali. La disoccupazione sta dilagando soprattutto tra i giovani e le donne, le tutele previdenziali e il welfare si riducono per i tagli indiscriminati alla spesa pubblica, la qualità dei servizi sta scadendo sempre più, il reddito pro-capite è nettamente piu’ basso di quanto recepito nel  2007. Ma quel che e’ piu’ grave non c’e’ ancora traccia di un piano complessivo a livello continentale per accelerare la possibilità e i tempi di una futura ripresa. Sembra che la programmazione economica sia ormai un esercizio inutile e che il destino dell’Europa debba essere affidato completamente ai meccanismi di mercato. Tesi ovviamente supportata dai paesi che in questo momento godono dei benefici della crisi. Si’, perché i paternalistici sermoni sul rigore delle autorità finanziarie mondiali e dei leader di governo come la signora Merkel nascondono figli e figliastri. La coesione sociale ed economica e’ il pilastro su cui si fonda l’Unione europea. Questa settimana il tesoro tedesco ha collocato Bund a tassi negativi mentre il Pil della Grecia nell’ultimo trimestre e’ precipitato a meno 7,2%. Ora fatevi un giro per il centro di Monaco e poi intorno al Partenone ad Atene e avrete una plastica rappresentazione di qual sia lo stato del progetto di integrazione oggi in Europa. Tutti gli Stati membri dell’Unione in questo momento si affollano nei pressi di uno di questi due poli, tra recessione e crescita, allontanandoli sempre piu’ uno dall’altro.

C`é adesso l’opportunità di affrontare questo nodo in maniera concreta. Il negoziato sulle prospettive finanziarie 2014-2020 dell’Unione Europea è entrato nel vivo. Il parlamento europeo ha adottato la sua posizione in materia ed un summit dei governi straordinario è stato convocato per il 22 e 23 novembre per discutere del futuro quadro finanziario dell’ Ue. Il rischio é che, ancora una volta come accaduto in passato, questo negoziato si trasformi in una competizione tra bottegai, con i leader europei interessati semplicemente a ridurre il proprio contributo al bilancio. Ed e’ quello che sta puntualmente accadendo. Un gruppo di paesi tra cui la Gran Bretagna, la Germania, la Finlandia, l’Olanda, sta chiedendo addirittura riduzioni delle loro contribuzioni. Per l’Italia sono messi pericolosamente in pericolo i fondi strutturali per la politica di coesione nelle regioni del Mezzogiorno e i sostegni all’agricoltura, nonostante il nostro paese sia da sempre un ‘’contributore netto’’ del budget dell’Unione, come ha denunciato il nostro ambasciatore a Bruxelles, Nelli Feroci. Una politica economica incentrata unicamente sull’austeritá non ha senso ed un taglio del bilancio pluriennale porterebbe ad un ulteriore, drastica riduzione della spesa pubblica in molti Stati membri. Il Parlamento europeo in merito é stato chiaro: il bilancio europeo va utilizzato come strumento anticiclico al fine di combinare il risanamento del bilancio nell’Ue con investimenti e politiche mirati ai settori con maggiore potenziale di crescita.  Nei  prossimi 7 anni bisogna realizzare quanto si é promesso con la Strategia 2020 per una crescita inclusiva e va rafforzata la governance economica europea. Per farlo servono risorse non tagli.
L’Italia dovrà per questo giocare un ruolo importante su due fronti. Da una parte contrastando le posizioni di chi vuole ridurre al lumicino il contributo nazionale al bilancio comunitario e dall’altra affrontando il “peccato originale” dell’Ue, ovvero la mancanza di un sistema autentico di risorse proprie.

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