Liste elettorali. Vizi duri a morire

ROMA – Nelle settimane prossime saremo inondati da un profluvio di sondaggi, simulazioni sulla attribuzione dei seggi nel futuro Parlamento alla luce dei meccanismi previsti dal “porcellum”, proiezioni fondate sulle intenzioni di voto.

Già è così oggi, pur essendo ancora grande l’incertezza su quale sarà il catalogo esatto delle liste che si presenteranno al voto, e non ancora del tutto definito nemmeno l’assetto delle coalizioni. Ad una valutazione, necessariamente approssimativa ma non infondata, troveremo sulla scheda non meno di venti liste, in parte aggregate in tre-quattro coalizioni, in parte singolarmente, cioè sciolte da vincoli di coalizione.
C’è del paradossale, soprattutto se si considera che molti fra i leaders di queste formazioni dichiarano di avere come obiettivo la uscita dall’attuale “bipolarismo muscolare” (??); se di questo si tratta, obiettivo raggiunto! Ma le battute non bastano, la questione è troppo seria. Proviamo dunque a leggerla, osservando e tentando di interpretare la cronaca quotidiana.
A destra, si dice, si tratta di una finzione puramente tattica: promuovere una galassia di liste diverse può essere un escamotage utile al fine di attirare gruppi di interesse diversi nell’orbita della coalizione. E vista la crisi verticale di prestigio e credibilità che ha investito la destra, tutto si può fare per cercare di porvi rimedio. Come risulta evidente ci sono anche altre ragioni che incentivano questa deflagrazione. Quando la nave affonda anche i topi cercano di abbandonarla, e magari si costruiscono la zattera utilizzando i rottami; si tengono comunque nei dintorni, perché non si sa mai, dovesse arrivare qualche naviglio di soccorso … Fatto sta che allo stato è impossibile prevedere quante liste troveremo stampate sulla scheda nello spazio riservato alla coalizione berlusconiana.

Ma il problema è più diffuso. Della operazione neo-centrista stiamo osservando l’evoluzione in queste ore: contenere nel numero di tre le formazioni che la compongono costa molti contorcimenti, pur se dissimulati. Perfino l’a plomb del professore è apparso scosso in occasione della finta conferenza stampa dello scorso 4 gennaio in cui ha presentato il suo simbolo. E ancor più la dice lunga il travaglio dei promotori del “forum di Todi”, molti dei quali non tollerano di essere, al dunque, semplici donatori di sangue per il “patto tecnocratico” Monti-Montezemolo, unico elemento di novità, poi che è difficile considerare nuovi i  partiti di Casini e Fini.
Anche nella più vasta area della sinistra si intravedono tentazioni dal sapore classicamente “politicista”, pur se ammantate di nuovismo. In esplicito: quale è l’obiettivo dei promotori della lista “Rivoluzione Civile”, oltre alla semplice testimonianza? Forse far leva sugli aspetti più deteriori della legge elettorale, scommettendo sulla ipotesi che il centrosinistra -probabile vincitore nel voto popolare- comunque non raggiunga la maggioranza di seggi al Senato, e poter così mettere sulla bilancia di una ipotetica trattativa qualche seggio probabilmente conquistato dalla lista di Ingroia in alcune regioni. Si tratta di processo alle intenzioni? Forse sì, ma a pensar male … D’altronde quale altra interpretazione può, ragionevolmente, essere immaginata?
Siamo comunque nel classico; i meno giovani ricordano che nella satira politica degli anni ’70 era invalsa la definizione di “Ugo della bilancia”, affibiata all’on. La Malfa, segretario del piccolo ma numericamente decisivo Partito Repubblicano. La generazione successiva conobbe le gesta di Ghino di Tacco, pseudonimo attribuito a sé medesimo dall’on Craxi; si trattava di un brigante che taglieggiava i viandanti costretti a transitare in una gola da lui presidiata. Mentre è di pochi giorni fa la dichiarazione dell’on. Casini, più esplicita e diretta: a Bersani, per essere Presidente del Consiglio, non basterà vincere le elezioni se non conquisterà anche la maggioranza assoluta sia alla Camera che al Senato. Siamo dunque nella tradizione.
Naturalmente la libertà di voto è sacra, ma le valutazioni politiche andrebbero sempre contestualizzate; e rapportate ad un interesse più generale di quello di fazione. Ma alcuni vizi sono duri a morire.

      

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