ROMA – Capita anche che,malgrado le migliori intenzioni, perlomeno nelle dichiarazioni, quando si parla di riforme si rischia di fare più male che bene. In questi giorni si fa un gran parlare di misure per il lavoro, di dare garanzie uguali per tutti, si parla di lavoratori garantiti, accusati di fatto di essere privilegiati,e di chi invece di garanzie non ha alcuna. Uno dei terreni di confronto o di scontro, se vogliamo, è quello degli ammortizzatori sociali.,della necessità di una riforma e se ne indicano i capisaldi.Sarà bene fare chiarezza a scanso di clamorosi errori che possono essere commessi.
Se vogliamo riformare gli ammortizzatori sociali infatti dobbiamo valutare i costi e l’efficacia. L’ex ministro Fornero fa un calcolo dei costi che si aggirerebbe sui 30 miliardi di euro per portare l’attuale durata della indennità di disoccupazione da 8 a 24 mesi. Un costo enorme che non risolve però la questione dell’efficacia della misura. Sarei contrario ad una riforma che cancellasse la cassa integrazione che, a mio avviso, andrebbe estesa anche ai settori che non l’hanno finora istituita. Occorre ricordare che questo strumento è pagato dalle imprese e dai lavoratori, che si tassano per avere risorse disponibili che evitino i licenziamenti nei momenti di crisi del mercato. Infatti, con la cassa integrazione si mantiene il rapporto di lavoro: cosa che non avviene nel caso di una indennità di disoccupazione, per quanto prolungata. Se vogliamo riformare il sistema possiamo partire da un progetto, già contenuto in una legge delega del 2008 del governo Prodi, che si proponeva di unificare da una parte la cassa integrazione ordinaria e straordinaria, e dall’ altra l’indennità di disoccupazione e di mobilità. Si possono razionalizzare gli strumenti ma non cancellarli, altrimenti nell’attuale situazione, che vede dal 2008 un consumo annuo di circa un miliardo di ore di cassa integrazione, avremmo come conseguenza il licenziamento di centinaia di migliaia di lavoratori se questo strumento venisse abolito. Va sicuramente riformata la cassa integrazione in deroga, l’unica che viene pagata dalla collettività, trasformandola in indennità di disoccupazione oppure mantenendola a condizione che i settori che la utilizzino versino anch’essi un contributo di finanziamento. Infine occorre che le parti sociali valutino il ruolo nei settori del commercio, dell’ artigianato e dei servizi, che possono svolgere gli enti bilaterali che potrebbero essere potenziati al fine di un ampliamento delle tutele sociali di questi lavoratori