Riforme, un testo insufficiente. Occorre mantenere competenze paritarie tra Camera e Senato

ROMA – Nel XXI secolo la democrazia deve affrontare nel mondo sfide decisive: i terrorismi certo, ma anche la globalizzazione, con il dominio della finanza sugli stessi tempi delle decisioni. Non è un’invenzione quella che i costituzionalisti definiscono dittatura delle maggioranze: si affievoliscono i controlli sui governi, si riducono il potere e l’indipendenza delle assemblee parlamentari, si allontana dai cittadini il livello delle decisioni. Il tema si pone anche a livello sovranazionale: per le sinistre la sfida da portare a termine entro un decennio è quella di costruire una grande democrazia – gli Stati Uniti d’Europa – in cui i cittadini possano incidere sulle grandi scelte. 

La democrazia ha bisogno di partecipazione e governabilità, non di una contrapposizione tra l’una e l’altra. È bene tenere presente queste considerazioni nella realizzazione della riforma costituzionale all’esame del Senato. Le proposte che ho avanzato insieme ad altri parlamentari muovono dall’intento di superare il bicameralismo paritario rafforzando la nostra democrazia. Il testo del governo, anche con le modifiche apportate dai relatori, ne determinerebbe invece secondo me un impoverimento.

Tra i 14 emendamenti che abbiamo presentato, uno stabilisce che “le proposte di legge d’iniziativa popolare devono essere esaminate e votate entro dodici mesi”. Una proposta di legge dei cittadini non può cadere nel vuoto: anche così si rafforza la democrazia. E abbiamo avanzato la proposta di introdurre il referendum propositivo e di abbassare il quorum richiesto per la validità di quello abrogativo.

Sulle competenze – non solo Costituzione ma leggi elettorali e referendum, ordinamenti dell’Unione Europea e delle Regioni – si sono compiuti passi avanti. Si è tenuto conto delle nostre impostazioni. Così sul numero dei senatori 100 e non più 148: evidentemente non siamo sabotatori, avanziamo proposte costruttive. Non si capisce perché la composizione della Camera sia intoccabile: 630 deputati non hanno senso. Dovrebbero essere al massimo 470.

La Camera avrà l’esclusività del rapporto di fiducia con il governo e l’ultima parola su gran parte delle leggi, compresa quella di bilancio: su questo punto c’è accordo ampio.  Come avviene nelle democrazie più avanzate, occorre però mantenere competenze paritarie tra Camera e Senato anche sui diritti delle minoranze, libertà religiosa, temi eticamente sensibili. 

Su questi aspetti il testo che esce dalla commissione resta ampiamente insufficiente. Bisogna anche precisare che, sulle leggi di carattere non paritario, proposte di modifica del Senato, possono non essere accolte dalla Camera solo con maggioranze uguali. Così avviene in Germania per il Bundesrat: in caso contrario il Senato si riduce a parerificio. Nel nuovo assetto non più di bicameralismo paritario il Senato deve svolgere un ruolo di garanzia e di equilibrio rispetto ad una Camera eletta con legge di tipo maggioritario. È importante una sua piena legittimazione attraverso l’elezione dei senatori da parte dei cittadini, in concomitanza con quella dei consigli regionali. 

Gli Stati Uniti hanno sperimentato il Senato di secondo grado: già nel 1913, dopo aver registrato gravi casi di corruzione e una rappresentanza troppo localistica, sono passati al voto diretto dei cittadini. La Francia nel marzo scorso ha stabilito che dalle prossime elezioni non si potrà essere più sindaci, presidenti di regione e parlamentari. Esperienze fallite, da noi non possono essere presentate e accolte come coraggiosa innovazione.

Alla lunga non saremmo credibili.

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