Fnsi e Ordine in fibrillazione. Equo compenso e riforma

ROMA – Acque agitate nelle istituzioni giornalistiche con tendenza alla burrasca. Tra la Federazione nazionale della stampa, che conta poco meno di 22 mila iscritti, ed il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, che ne annovera oltre 110 mila, da qualche tempo non c’è sintonia. Se non altro perché la prima è un soggetto privato ed il secondo è pubblico.

Le divergenze le attestano le prese di posizione, lo scambio dei comunicati e della corrispondenza ed i messaggi che vengono collocati su quella specchiera che è facebook. La causa prima è costituita da una diversa analisi sui problemi che hanno investito la categoria, e non sono per niente pochi, e sui rimedi da adottare per invertire una situazione oltremodo precaria che sta modificando l’intero mondo dell’informazione. Divergenze di opinioni pure sulla riforma dell’ordine professionale, che è stato fortemente voluto dalla Fnsi.

Non passa giorno che il sindacato, non immune da colpe, debba intervenire a livello locale per tamponare tagli ai compensi dei collaboratori, licenziamenti non giustificati, chiusure di testate o riduzioni di organici. Ne sa qualcosa l’Associazione della Stampa Romana, che dirama comunicati a getto continuo per informare su quello che è riuscita a fare per difendere posti di lavoro o per risolvere singoli problemi. A livello nazionale sono invece da arginare le derive governative e parlamentari, che mirano a ridurre i contributi all’editoria, a limitare l’uso delle intercettazioni, a condannare pesantemente l’esercizio abusivo della professione e a fissare multe e sospensioni dall’albo per la diffamazione a mezzo stampa. Ad intervenire infine contro le esternazioni del Movimento5Stelle che dileggiano i giornalisti.

Non è da oggi, come accennato, che le due istituzioni si arroccano su posizioni divergenti. Si potrebbe affermare dal giorno in cui Enzo Iacopino ha sostituito alla presidenza dell’Ordine l’ex presidente della Fnsi Lorenzo Del Boca. Ora lo spunto è fornito dall’equo compenso, che finora aveva costituito uno dei punti di forza dell’attività del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti ed il suo presidente Iacopino ha speso non poche energie per far approvare la legge e far comprendere a burocrati e politici cosa volesse significare. Fa perno sulla Carta di Firenze, che ribadisce un principio fondamentale della nostra Carta costituzionale, che è oggetto di revisione e potrebbe essere riformata in pejus.

Un articolo, opera dell’ingegno individuale, non può essere retribuito con pochi euro da contare sulle dita di una mano. Meno del compenso orario per una collaboratrice domestica. Un impegno che si è assunto anche il Movimento Unitario Giornalisti, presentato a Napoli nei giorni scorsi nella sede dell’Ascom, e a breve potrebbe essere trasformato in un sindacato in contrapposizione alla Fnsi. Stesso proponimento annunciato a suo tempo dall’Angpi costituita con atto notarile dal Gruppo Pubblicisti Unitari di Stampa Romana. Due aggregazioni che sono contro la ripartizione tra professionisti e pubblicisti secondo la classificazione ordinistica o tra professionali e collaboratori fissata dal sindacato a Riccione.

La Fnsi ha sottoscritto, nonostante l’impegno della dirigenza di via Parigi, con la Fieg un accordo sul lavoro autonomo che non appare rispondente alle aspettative dei giornalisti e le tre Confederazioni sindacali lo hanno considerato uno sfruttamento legalizzato ed in violazione alla legge 92/12. Per 12 articoli al mese è stato concordato un compenso di 250 euro lordi mentre una pensione sociale è di 420. Un risultato che ha spinto il Consiglio nazionale di ritenere opportuno di adire il Tar. 

Nello stesso tempo l’Ordine della Sardegna ha voluto far conoscere la sua opinione sulla riforma della legge sull’Ordinamento della professione e mettere in risalto le anomalie sulle nuove regole per l’accesso all’elenco pubblicisti, nonché quelle sul “Ricongiungimento “. Un provvedimento non secundum lege, ma per una presunzione di poter interpretare la legge ed avere il potere di normazione. Comunque presente nelle norme transitorie di una proposta di legge caldeggiata dal Consiglio nazionale. Altri Ordini regionali hanno invece il discorso sui Consigli territoriali di disciplina, un vulnus alla loro autorevolezza, ed il tema della formazione.

La fibrillazione è tanta e continua a crescere d’intensità. Come possa andare a finire, di mezzo c’è anche il nuovo contratto che non soddisfa e sarà sottoposto a referendum, è arduo poterlo anticipare, anche perché sono già iniziate le grandi manovre per il congresso che sarà tenuto nel gennaio 2015 e dal quale uscirà la nuova dirigenza. Soprattutto il segretario generale, carica cui aspirano non pochi. Rebus sic stantibus non si può non affermare che quanto riguarda il giornalismo non faccia notizia o si debba imparare qualcosa dalle istituzioni della categoria. 

Ne bis in idem sostiene un brocardo latino, punto di forza negli ordinamenti penali occidentali. Ebbene il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti non ne tiene conto e ha riproposto il testo di una riforma che era stato bocciato per pochissimi voti. Proposta presentata da una commissione presieduta da Enrico Paissan e si presume sia stata pure concordata con Carlo Bonini e Pino Rea, consiglieri nazionali di Autonomia e Solidarietà che guidano “Liberiamo l’informazione” e a loro volta coautori di un testo di modifiche volto a far recitare il de profundis per i pubblicisti. 

Avallata dai falsi amici che quando non sono visti od ascoltati non fanno mistero di essere insofferenti nei confronti dei pubblicisti, che costituiscono lo si voglia o no il tessuto connettivo dell’informazione e garantiscono ai cittadini, assieme ai professionisti, il diritto di essere informati. Non molto tempo addietro un pezzo da novanta del sindacato ha proposto di prenderli a calci, comportamento stigmatizzato dall’attuale presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine.

Una proposta opinabile – Giurì per la correttezza dell’informazione, albo suddiviso in due elenchi (quello dei professionisti e pubblicisti e dei professionisti che non esercitano in via esclusiva), 90 consiglieri e rapporto di rappresentanza fissato in 3 a 2, durata del mandato 4 anni giustificato dalla spending review e limitazione del mandato a due legislature, voto elettronico e registro degli uffici stampa pubblici e privati –  che si vorrebbe presentare direttamente al Parlamento senza passare per il Ministero della Giustizia. Ed avvalersi in alcuni casi della regolamentazione, che per rendere più efficiente la PA dovrebbe essere eliminata.

Il testo di modifica che porta il nome di Paissan non tiene conto di quanto sta accadendo a livello internazionale e tanto meno delle previsioni contenute nel rapporto “Career Cast” del Bureau of Labor Statistics degli Stati Uniti e del lavoro di Jeff Jarvis che si è domandato se è “Finita l’era dei mass media e come sarà il giornalismo” di domani. Per quanto è dato di sapere, con tutti i ma e i se, il giornalismo è una professione destinata ad una drastica riduzione come peraltro gli uffici stampa che saranno sostituiti dall’Ufficio delle relazioni con il pubblico o da quello del Portavoce. La PA non fa informazione, ma comunicazione di servizio.

Non c’è alcun dubbio che la legge 69/63 sia obsoleta ed abbia necessità di essere scritta di nuovo alla luce delle varie trasformazioni avvenute nel corso degli ultimi cinquanta anni, ma dovrebbe essere preceduta da un dibattito che affronti il tema dell’ordine professionale: se effettivamente è indispensabile e vedere il giornalismo come una attività transeunte alla stessa stregua di quanto avviene nei paesi di più antica democrazia. Senza sottovalutare la recente sentenza delle sezioni unite della Cassazione che ha detto a chiare note che l’articolo 34 deve essere applicato come redatto dal legislatore del 1963 e non secondo le interpretazioni del soggetto che ha il solo compito di applicare la legge.

Finora le varie proposte di riforma o di cancellazione non sono mai andate avanti. L’unico punto fermo sarebbe quella del deputato Pisicchio, ma è stata votata da un solo ramo del Parlamento. L’attuale proposta avrà maggiore successo?  

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