Oltre il giardino

ROMA – Un milione di persone in quarantena, 1.145 morti accertati su 2.127 persone sicuramente affette dalla malattia, il contagio che progredisce del 27% ogni 10 giorni. Finora sottovalutata, l’’epidemia di Ebola non è sotto controllo. In particolare in Sierra Leone e Liberia, mentre in Guinea la progressione del virus sembra meno accelerata. Sono notizie, allarmanti, che ricavo da El Pais. 

La mobilitazione internazionale è modesta: 12 milioni di euro dall’Europa, sempre 12 milioni, ma di dollari, dagli Stati Uniti, un milione e mezzo dalla Cina. Il siero sperimentale non viene sperimentato, se non su qualche malato – cavia, nato in Occidente e in Occidente riportato con aerei speciali e ambienti sigillati, dalla zona dell’epidemia. Nelle zone colpite si pone una questione democratica: le famiglie dei contagiati non credono agli appelli dei loro governi, non nutrono speranze di guarigione o almeno di cura, vedono medici e infermieri che spesso fuggono davanti al contagio, e dunque nascondono i malati, li toccano al momento di seppellirli e, quando possono, viaggiano facendo così viaggiare anche Ebola. Ma non è presa in conto, perché non si saprebbe come prenderla in conto. 

Manca un’autorità internazionale in grado di mettere a disposizione dell’Africa colpita tutte le risorse mediche e scientifiche disponibili, comprese quelle coperte dal segreto a protezione dei profitti dell’industria farmaceutica. Temiamo di spendere prima cifre importanti, comunque più basse di quelle che spenderemo se il contagio si estenderà. Non ci offriamo di andare in Liberia e Sierra Leone – il contagio, spiega Gino Strada, si può evitare adottando severe misure d’igiene – prima che il virus arrivi da noi.

In Iraq, il religioso sciita al Sistani, molto vicino agli Ayatollah iraniani, ha imposto il ritiro ad Al Maliki e l’avvio delle trattative per un governo di unità nazionale, tra sciiti, sunniti, curdi e cristiani. L’Unione Europea ha deciso di armare i Peshmerga curdi. Gli americani bombardano le postazioni dell’Isis nel Nord e un contingente di marines è operativo per distribuire aiuti e salvare gruppi di Yazidi o di cristiani accerchiati dagli islamisti. È troppo tardi? Forse sì, temo di sì. Non c’è, tuttavia, molto altro da fare. E questa volta, sempre che le armi arrivino – in Italia la scelta spetta al Parlamento – l’Europa, almeno, ha battuto un colpo 

Si può sognare. Se Stati Uniti ed Europa sapessero riconquistare la fiducia dell’Iran, insieme a Teheran, sarebbe forse possibile mettere in condizioni di non nuocere il macellaio Assad, che con le sue stragi ha fatto crescere il mostro del Califfato sunnita. Europa e Stati Uniti potrebbero incoraggiare il governo Netanyahu a proseguire con la tregua a Gaza e le trattative. E sperare che non sia impossibile ottenere la smilitarizzazione di Hamas in cambio della fine del blocco di Gaza (sia verso l’Egitto che verso il mare e il confine con Israele) e del riconoscimento di un ruolo centrale dell’Autorità palestinese. Infine il governo di Ankara potrebbe essere indotto a sostenere i Curdi iracheni, fratelli della minoranza discriminata in Turchia. 

Infine l’Ucraina. I nostri alleati – l’Europa ha voluto staccare Kiev da Mosca – ora ci chiedono di aiutarli a riconquistare il confine con la Russia, per tenere fuori dalla loro terra i mezzi Putin, sia che portino aiuti alle popolazioni filo russe sia che nascondano carri, armi e soldati. Che fare? Le sanzioni hanno un costo per i russi ma anche per noi. Una guerra ucraino russa, con l’appoggio esplicito dell’Europa o degli Stati Uniti, rianimerebbe il fantasma del 1914. Si può sognare – torna questo termine, sogno –  un tavolo a quattro: Unione Europea, Russia, Ucraina, Crimea che tolga dal tavolo le sanzioni e avvii un piano di collaborazione per la crescita economica e il rispetto dei diritti civili. Riconoscendo la secessione della Crimea ma non l’annessione a Mosca, chiedendo la smilitarizzazione dell’est filo russo in cambio di una ampia autonomia della regione sotto protezione ONU. 

Strada impervia, ma sempre meglio che sperare in una resa dell’avversario perché noi, Europei e Americani, minacciamo ben sapendo che non possiamo colpire. 

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