Jihad. Uccidere un uomo è simile a salvarne un altro?

ROMA – “Non è una guerra di civiltà”; “Non vogliamo combattere contro l’Islam”; “Bisogna lottare contro chi stravolge la parola di Dio”: frasi che rimbalzano da un telegiornale all’altro, dalla bocca di un leader a quella di un altro, mentre il volume del terrore sale lentamente, inarrestabile.

La paura che oggi assale l’Occidente veste i panni della consapevolezza, della netta impressione di aver capito una volta per tutte quanto sia incontrollabile ed imprevedibile la furia dell’integralismo islamico, quanto lo jihad sia un principio insopprimibile per una parte dei musulmani. 

Ci si può prendere a colpi di versetti anche con il Corano: “Non c’è costrizione nella religione”, si legge nella II sura, ed in queste parole non trovano spazio guerre ed attentati. Esiste un Islam diverso, pacifico e moderato, la cui bellezza, forse, è destinata a rimanere un mistero, offuscata anche da episodi come quelli vissuti in questi giorni.

Il Corano è attraversato da numerosi versetti che predicano amore, compassione ed armonia. Ieri, però, è stato il giorno del doppio assalto della polizia a Dammartin-en-Goele e a Parigi: morti i terroristi che hanno inneggiato all’Isis ead Al Qaida, che ha poi rivendicato l’azione, organizzata per rispondere alle offese rivolte al Profeta Maometto; morte anche quattro persone tenute in ostaggio in un supermercato di prodotti kosher. 

Al versetto 111 della IX sura, ai credenti che “combattono sul sentiero di Allah”, che “uccidono e sono uccisi” è promesso il Paradiso. “Combattete coloro che non credono in Allah e nell’Ultimo Giorno, che non vietano quello che Allah e il suo Messaggero hanno vietato, e quelli, tra la gente della Scrittura, che non scelgono la religione della verità, finché non versino umilmente il tributo e siano soggiogati”, recita il ventinovesimo, mentre il versetto 51 della V sura ammonisce: “O voi che credete, non sceglietevi per alleati i giudei e i nazareni, sono alleati gli uni degli altri. E chi li sceglie come alleati è uno di loro. In verità Allah non guida un popolo di ingiusti”

Jihad: il terrorismo è uno dei suoi riflessi; azioni volte non solo all’eliminazione di innocenti, ma anche e soprattutto di presunti colpevoli. Qui gli spari e le bombe non vogliono solo destabilizzare, ma punire. Qui il terrorismo non è l’ultima risorsa di chi ha esaurito tutte le possibili opzioni, di chi ha tentato ogni azione politica e militare, fallendo in ogni sua operazione: non è un urlo di disperazione, ma un avvertimento.

Qui il nemico è l’infedele ed ora l’Occidente sembra averlo capito più che in passato, anche se su molte cose ancora andrebbe fatta chiarezza: jihad, ad esempio, è sinonimo di “guerra santa”, letteralmente andrebbe tradotto come “lo sforzo”, quello che si prova “sulla via di Dio”; nella più illustre raccolta canonica di detti attribuiti al Profeta,  Il Sahih di al-Bukhari, ad esso sono assimilate le buone azioni: “Chi si dà da fare per una vedova e per un povero è come chi parte per il jihad sulla strada di Dio, o chi si alza a pregare la notte e digiuna di giorno”.

Sul sentiero che porta a Dio, dunque, uccidere un uomo è realmente simile a salvarne un altro?

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