CAGLIARI – Perché prorogare la durata delle concessioni per la coltivazione di idrocarburi non sia a priori né giusto né sbagliato, perché andrò a votare, perché voterò sì e perché votare non basta.
Si tratta del quesito referendario più complesso che mi sia trovata ad affrontare e del tema su cui è stato maggiormente difficile raccogliere informazioni serie che potessero orientare una decisione.
Se ne parla tanto ma al di là degli slogan ho trovato poche risposte alle mie domande. Ringrazio tuttavia la rete in cui, spesso nei commenti dei commenti di un post, ho trovato qualche indicazione, qualche fonte che mi ha consentito di prendere una decisione.
Ma veniamo ai vari punti:
Perché prorogare la durata delle concessioni per la coltivazione di idrocarburi non sia a priori né giusto né sbagliato ovvero, qual è la durata corretta di un titolo minerario?
Su questo punto la risposta è solo una: dipende. Dipende dal bilancio fra costi e benefici sociali marginali che tale attività genera nella sua “vita residua”. I benefici sociali sono quelli di più immediata percezione, ovvero l’impatto occupazionale diretto, indiretto e indotto associato a quell’attività, il patrimonio di conoscenze e competenze che genera l’attività economica, le royalty corrisposte. I costi sociali sono rappresentati dalla riduzione di valore del bene ambientale su cui insiste l’attività. Tale valore ha due componenti principali: il valore di utilizzo (use value) e il valore di non-utilizzo (non-use value)
La riduzione del valore di utilizzo include sia il valore generato da attività inibite dall’attività estrattiva (tipicamente per le attività offshore pesca e turismo) non solo durante la vita utile del giacimento ma sino a completo ripristino delle condizioni ambientali precedenti (direct use value), sia la riduzione di valore relativo al buon funzionamento dell’ecosistema marino e costiero e alla sopravvivenza degli organismi in esso presente anche se privi di valore economico (indirect use value), sia infine la riduzione di potenziali utilizzi futuri del bene ambientale (Option value).
Il valore di non-utilizzo (valore culturale, religioso, estetico, di esistenza) che riguardano sostanzialmente il valore intrinseco del bene a prescindere dal suo utilizzo. Questa ultima componente di valore è stata considerata per la prima volta nella quantificazione del danno ambientale dell’incidente di Exxon Valdez del 1989.
Tali valutazioni, per le quali esistono metodologie consolidate da diversi decenni e che traducono i diversi valori in valori monetari al fine di renderli comparabili, sono quelle che dovrebbero guidare le scelte del decisore pubblico e del potere legislativo di un paese civile, temo invece che le scelte del legislatore siano guidate da valutazioni di altra natura.
Perché andrò a votare
Andrò a votare non tanto e non solo perché lo ritengo un dovere civico, ma anche e soprattutto per riportare in cima all’agenda dei decisori pubblici il tema energetico in questo paese. Un’alta percentuale di votanti, quale che sia il loro voto, dà un messaggio chiaro e univoco: occorre affrontare la questione energetica, occorre avere una visione che traguardi 20-30 anni in questo paese, occorre darsi una missione degli obiettivi e, finalmente, un piano energetico nazionale di lungo periodo.
A Parigi lo scorso dicembre l’Italia, insieme ad altri 186 paesi si è impegnata a fornire il suo contributo per il mantenimento dell’innalzamento termico complessivo massimo entro i 2°C con l’obiettivo di rimanere entro 1,5°.
Per assicurare questo risultato occorre eliminare quasi tutte le emissioni di gas serra e compensare quelle non eliminabili con iniziative che li assorbano. Si stima che per contenere l’innalzamento entro 1,5°C la riduzione di CO2 (uno dei principali gas serra) debbano arrivare a zero nel periodo 2045-2060. Il 2045 non mi sembra poi tanto lontano, cosa aspettiamo a definire come ci si arriva?
Perché voterò sì
Voterò sì perché in assenza di spiegazioni e stime sulla durata della vita residua dei giacimenti in questione me le sono date da sola.
Dall’analisi dell’andamento della produzione di idrocarburi nelle piattaforme relative alle concessioni entro le 12 miglia si evince che questa si sia fortemente ridotta negli ultimi 10-15 anni, sino a scendere al di sotto del 30% della produzione massima per le concessioni non scadute, del 10% per quelle scadute per le quali è già stata richiesta proroga e del 20% per quanto riguarda la produzione di olio.
Insomma sembrerebbe che si tratta di giacimenti già sostanzialmente a fine vita. Ma allora che senso ha la modifica legislativa della legge di stabilità che prevede che “I titoli abilitativi già rilasciati sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento”? Chi e come decide che il giacimento possa considerarsi esaurito? E’ sufficiente estrarre una goccia o sono definiti altri criteri?
Da un’analisi di Greenpeace su dati MISE risulta che delle 88 piattaforme operanti entro le 12 miglia
-35 non sono di fatto in funzione (6 “non operative”, 28 “non eroganti”, 1 di supporto a piattaforme “non eroganti”
-29 considerate “eroganti” producono sotto la franchigia che esenta i petrolieri dal pagamento delle royalties
Allora un governo serio anziché procrastinare la fase di dismissione di ciò che non serve più, dovrebbe definire le modalità gestione del decommissioning off shore (smantellamento? Riutilizzo ad es. per eolico offshore? Altro?). Si tratta di attività onerose che le compagnie petrolifere non hanno nessun interesse ad anticipare mentre hanno forti interessi a prorogare.
Perché votare non basta
Votare non basta perché, come stigmatizzano i detrattori del referendum, recarsi al seggio con il Suv non fa che sottolineare le nostre contraddizioni.
Perché anche se lasciamo l’auto nel garage e andiamo a votare in bicicletta dobbiamo essere consapevoli che quell’auto ha già emesso circa la metà delle sostanze tossiche associate al suo intero ciclo di vita nel momento stesso in cui l’abbiamo acquistata, nella fase di produzione.
Perché anche se stiamo attenti a non far scorrere acqua in eccesso quando riempiamo la moka, dobbiamo sapere che per la tazzina di caffè che poi beviamo sono stati comunque utilizzati 140 litri di acqua.
Perché quando indossiamo i jeans dobbiamo sapere che la loro impronta idrica non è tanto legata ai lavaggi in lavatrice ma soprattutto alla loro produzione (11.000 litri di acqua), allora è forse meglio comprarne un paio in meno e tenere la vecchia lavatrice.
Perché se cambiamo le lampadine per contribuire alla riduzione di gas serra e poi portiamo a tavola 1 kg di carne di manzo dobbiamo essere consapevoli del fatto che: stiamo producendo 26 kg di CO2 equivalente (contro 1,7 kg prodotti da 1 kg di legumi), consumando oltre 19.000 litri di acqua (contro i 2.700 necessari per 1 kg di legumi) e impegnando 127 m2 di territorio (contro 18 m2 utilizzati da 1 kg di legumi).
Perché la fonte energetica più pulita che ci sia è il risparmio energetico non solo e non tanto nei consumi diretti (quelli indicati nelle nostre bollette) ma anche e soprattutto dei beni che acquistiamo.
In sintesi perché dopo aver votato occorre ripensare profondamente il nostro modello di sviluppo e i nostri consumi.
Io sono dotata di auto, bevo caffè al mattino anziché il più eco-compatibile the, posseggo diversi paia di jeans e sono onnivora. Spero però che grazie a questa consapevolezza, maturata anche a seguito dei nuovi approfondimenti che ho svolto in occasione di questo referendum, le mie abitudini cambino, e cambino radicalmente, perché è un mio dovere, oltre che un mio desiderio, lasciare in eredità a mio figlio Antonio un mondo se non migliore, almeno equivalente a quello che ho ereditato io!
Valeria Casula (ingegnere ambientale)