Trump e Hillary allo scontro finale

ROMA – Non era affatto scontato che Hillary e Trump vincessero facile nella Grande mela, come pure titola il New York Times dopo il martedì divenuto il punto di svolta delle primarie Usa. 

Non lo era perché l’una veniva da una serie di rovesci di fila contro un ringalluzzito Sanders, l’altro continua a macinare delegati contro la macchina del suo stesso partito, attaccata a Cruz come una cozza allo scoglio. Che invece è stato schiacciato dal tritasassi Trump, surclassato persino dal terzo incomodo Kasich, sul quale qualche buontempone repubblicano gioca ora di pallottoliere senza che i conti tornino. Mancano a entrambi circa 400 delegati per giocarsela sul velluto alle convention che li incoroneranno candidati alla presidenza dei rispettivi partiti, a luglio in Ohio e Pennsylvania, ma con una fondamentale differenza.

Il Gop – Great old party, come amano chiamarsi i repubblicani Usa – non sa più a chi affidarsi per fermare il magnate che sta distruggendo il partito e rischia di sfasciare l’America, anziché farla tornare grande. Non certo il bellimbusto Cruz, più destrorso del magnate newyorchese che ieri ha festeggiato in casa, nella sua Trump Tower, mentre pure l’Empire state building si colorava di rosso in omaggio alla vittoria casalinga. Alla faccia del Pirellone e delle sue polemiche luminarie, a New York hanno sempre avuto gran fiuto per il vincente di turno, e Trump può ben festeggiare dall’alto della sua omonima torre pregustando una vittoria contro tutto e tutti. A partire dal suo partito che per sbarrargli il passo in favore di un sempre più bollito Cruz non avrà che la compravendita dei delegati alla convention di Cleveland, sempreché i numeri alla fine lo consentano.

Se in groppa all’elefante piangono, tra le zampe dell’asinello ridono amaro. Ché loro problemi non hanno anche se Bernie ha sbattuto la porta denunciando il marcio nel voto della grande mela. Ma, si sa, non è che le primarie Usa odorino di rose, anzi tanfano come certi gazebo inzeppati di voti farlocchi, checché ne dicano gli scopiazzatori di pratiche d’oltreoceano e gli scacazzafogli del libero voto & mercato. La Clinton anzi può anche fare la simpatica senza più seri ostacoli nella corsa, e richiamare il senatore furioso e i democratici a compattarsi dietro di lei. Per darsi una chance in più e farsi benvolere a livello interplanetario l’uomo macchina del suo staff, John Podestà, ha promesso persino che in caso di vittoria saranno desecretati gli x files che riguardano gli Ufo. Guai però a togliere il segreto sul rapporto che svela lo zampino saudita sull’11 settembre, su questo Obama ha promesso bocche cucite ai waabiti di Riad nella sua recente visita. E mentre i buoni cittadini d’America e del mondo si preparano a sapere la verità sui mondi oltre il nostro – ma solo se voterete madame Clinton, fate i bravi – un enigma poco alieno imperversa in casa repubblicana.

 

Una foto degli anni ‘60 su americanintelligengereport.com rivela un sorridente Rafael Cruz, padre di Ted, accanto a Lee Harvey Osvald. Il sedicente omicida solitario del presidente Kennedy, spacciato ancora per tale nonostante l’ampia confessione del vero assassino che sta per lasciare definitivamente le patrie galere, James Sutton, alias James Files. Il padre dell’odierno candidato alla Casa Bianca se ne volò in Canada per conto della compagnia petrolifera dei Bush per cui lavorava, ed era nel giro dei petrolieri faccendieri esuli cubani e mafiosi anticastristi che complottarono per far fuori Jfk, ventila il sito di controinformazione Usa. Mene complottiste a parte, tale padre tale figlio, può dirsi per Rafael, amico del (mancato) fuciliere Osvald e Ted, ultramico dei pistoleri Usa. Celebre, al riguardo, il video postato in campagna elettorale per propagandare l’amore per le armi e la voglia d’alzare le spese militari, che propone di portare al 4% del pil, per la bella cifra di 135 miliardi di dollari. Una dichiarazione che gli ha subito fatto guadagnare 45mila dollari di contributi dalla Loocked Martin. Quella, per intendersi, che costruisce gli F35, il paccobombardiere attorno al quale ruotano contratti miliardari. Insomma, il buon Ted si è fatto riprendere intento a spiegare come cuocere dell’ottimo bacon sulla canna bollente di un Ar 15 (lo stesso fucile d’assalto usato da Adam Lanza nella strage alla scuola di Sandy Hook), dopo essersi esercitato al poligono di tiro. Gustatevelo su YouTube.

Ma se le performance militar culinarie dell’ottimo Cruz non stupiscono più di tanto, un altro mistero poco alieno tocca ancora i vertici democratici. A spulciare la lista dei finanziamenti pubblici delle aziende ai candidati Usa edita dal Center for public integrety della Federal electoral commission si scopre che la più unta dalle aziende collegate al Pentagono è Hillary Clinton, con 450mila dollari. Niente di cui stupirsi, visto l’attivismo politico della signora in nome della democrazia esportata sulle ali dei bombardieri e nei tumulti di piazza delle finte primavere teorizzate da Gene Sharp. Ma quel che sorprende è chi le sta subito sotto, nel suo stesso partito: quel Sanders tacciato di socialismo che si è imbucato in Vaticano per la benedizione papale alla vigilia della partenza per Lesbo. Trecentocinquantamila dollari, più o meno, quanto versato nelle casse del senatore del Vermont dalle aziende in affari col Pentagono. Un filino sopra, appena, dell’armiere-cuciniere Cruz, benedetto a sua volta da quaccheri e mormoni. Al loro confronto il magnate Trump raccoglie una miseria, appena 10mila dollari. A riprova che il candidato forte, per il business delle armi come per la lobby ebraica e Bilderberg, non è certo lui. Ma neanche questo preoccupa più di tanto il Berlusconi d’America nello scontro finale con la dark lady per la Casa Bianca.

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