Francia: salvare il salvabile, sperare nel futuro

Emmanuel Macron è il peggior candidato in assoluto: liberista, amico dei Rothschild, quintessenza dei vizi della finanza globale, artefice della Loi travail che ha desertificato i residui consensi di Hollande, inesperto dal punto di vista politico e arrogante e presuntuoso come pochi.

Peccato che la sua avversaria al ballottaggio del prossimo 7 maggio sia Marine Le Pen, figlia di un ex parà dell’OAS nonché membro della Repubblica di Vichy, razzista e xenofoba ma, soprattutto, anti-europeista e desiderosa di distruggere l’euro e il Vecchio Continente. 

Questa è la sfida che abbiamo di fronte in questa fase crepuscolare della Quinta Repubblica gaullista e, al cospetto dell’abisso costituito da un personaggio del genere, abbiamo il dovere di scegliere e di schierarci apertamente dalla parte di colui che fra i due garantirebbe quanto meno una ripresa dell’asse franco-tedesco e, dunque, un rafforzamento dell’Europa in un momento storico nel quale Dio solo sa quanto ne abbiamo bisogno. 

Ciò non toglie che di questo liberismo compassionevole, basato su massacro sociale e tagli indiscriminati alla spesa pubblica, privatizzazioni e attacchi indiscriminati al sistema di welfare, non solo non sappiamo che farcene ma non c’è dubbio che costituisca le ragioni di fondo dell’avanzata di una candidata e di un partito il cui risultato dovrebbe essere su percentuali da prefisso telefonico e la cui ascesa segnala, all’opposto, la decadenza e il baratro in cui stanno sprofondando le società occidentali. E questa Francia che svolta a destra, questa Francia indebolita, fiaccata dal terrorismo, dalla rabbia, dallo sconforto e dalla sensazione di star scivolando sempre più verso il basso, perdendo centralità e prestigio, questa Francia esprime tutti i sintomi di un degrado cui non è certo estraneo il nostro Paese e le cui conseguenze si riverberano ormai su qualunque elezione. 

Del resto, come si spiegherebbe altrimenti la clamorosa eliminazione al primo turno dei due partiti tradizionali, la pasokizzazione dei socialisti, la scelta degli ex gaullisti di puntare su un candidato minato dagli scandali, il dilagare di un soggetto, Mélenchon, che incarna tutti i pregi e i limiti della sinistra radicale e, soprattutto, l’approdo al secondo turno di due figure, Macron e la Le Pen, che rappresentano altrettante forme di scadimento della politica tradizionale, incarnando nel primo caso una fuga verso la tecnocrazia e nel secondo un rifugiarsi nel populismo più becero e pericoloso? 

Il punto è che ormai prevale, un po’ ovunque, il rifiuto del concetto stesso di politica, sostituita o da esponenti del potere bancario e della galassia bruxellese, più che mai invisa a milioni di cittadini, o dalla nouvelle vague di un protezionismo retrogrado e spesso pronto a sfociare in utopistici miraggi legati ad un passato che non può tornare e che non era affatto migliore del contesto contemporaneo. 

L’aspetto in cui la società di un tempo era preferibile riguardava, tuttavia, il fatto che, per quanto le ingiustizie fossero assai maggiori, per non parlare poi delle disuguaglianze, erano assai maggiori anche le speranze e le prospettive collettive di chi ancora credeva in qualcosa e tentava di emanciparsi da una condizione di subalternità attraverso la costruzione di un modello di società alternativo. 

Ora che sembriamo condannati alla rassegnazione, ora che ci viene insegnata fin dalla più tenera età l’omologazione e l’ingresso nel gregge, ora che il processo di robotizzazione degli esseri umani è giunto forse all’apice, ora cominciano, invece, a renderci conto che sono venuti meno quei princìpi di equità, umanità e uguaglianza che incarnavano, un tempo, le linee guida del pensiero socialista, mentre oggi non ci resta che votare contro una figura che pure è stata abile nel conquistarsi la fiducia degli ultimi e degli esclusi, delle aree depresse del Paese e di coloro che si sentono traditi e dimenticati da una globalizzazione sregolata e foriera di innumerevoli ingiustizie. 

Ora, giunti al culmine della follia di un disegno privo di speranze e di prospettive e centrato unicamente sulle possibilità di arricchimento per pochi, singoli privilegiati, ora ci troviamo qui a domandarci come salvare il salvabile e come porre le basi per ricostruire, in futuro, una sinistra degna di questo nome. 

Perché non è la sinistra, in Francia come altrove, ad essere anacronistica ma i suoi interpreti e le parole d’ordine che esprimono, spaziando dall’asservimento ai mantra economicisti ed efficientisti del momento alle tirate anti-casta. 

Di sinistra ce n’è bisogno più che mai, in ogni angolo del mondo, solo che è quasi ovunque drammaticamente assente o condannata all’irrilevanza. E i risultati si vedono, con il vuoto lasciato dai nostri edifici ormai crollati riempito da edifici che sarà dura abbattere, essendo entrambi fondati, sui due versanti, da pregiudizi e analisi sbagliate del mondo contemporaneo. 

La massima apertura senza regole e la massima chiusura senza dignità: populismi complementari e luoghi comuni senza costrutto che si tengono per mano. 

Quando un giorno gli storici analizzeranno questa stagione, ne parleranno probabilmente come una sorta di tempo del nulla, con soggetti politici improvvisati, proposte assenti e politiche abborracciate e inadatte a condurre quella saggia azione riformista che servirebbe per rilanciare per l’Europa. 

Ci vorrà almeno una generazione perché le cose cambino, con l’auspicio che per l’epoca non sia troppo tardi.

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