Stato e potere mafioso: una conveniente convivenza

 

ROMA – Tra le questioni più gravi che la nostra democrazia si trova a dover affrontare vi è senza dubbio quella della predominanza delle mafie nei nostri territori. Nel dominio mafioso strettamente connesso a quello della corruzione si è costruita una vera e propria struttura di potere, che è politico, economico, finanziario, ma anche sociale.

Lo Stato di fronte a questa situazione resta immobile mentre per debellarla, occorrerebbe che il Governo decidesse al più presto di concentrare le sue forze (leggi efficaci, uomini e mezzi) nelle zone più colpite. A oggi non vedo il minimo accenno di concretezza su come affrontare questo “cancro”. Non noto sforzi che mirino ad arginare la esponenziale crescita del potere mafioso, della sua pericolosità, della sua impunità. Il perché di una simile situazione di stallo è evidente: le mafie hanno legami forti con istituzioni, partiti politici e settori della pubblica amministra­zione. Sono convinto che se i partiti e il Governo stes­so non s’impegneranno a fondo per recidere i predetti legami e per estirpare le radici che le mafie affondano nello Stato, qualsiasi riforma per rendere più efficace l’opera della magistratura e delle forze dell’ordine sarà vana e non consentirà di raggiungere apprezzabili risultati. Contro le mafie, occorre coinvolgere tutti i cittadini onesti rinsaldando il rapporto tra il po­polo e le istituzioni democratiche, per dare fiducia e sostegno agli uomini che lottano le mafie nonostante la grave carenza di mezzi. Dobbiamo fare in modo da non rendere vano il sacrificio di coloro che han­no perso la vita in questa lotta: Falcone, Borsellino, Dalla Chie­sa, Chinnici, La Torre, Impastato, Fava e tanti altri. Borsellino sosteneva che “politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio, o si fanno la guerra o si mettono d’accordo”.  Oggi, a venticinque anni dalla sua morte, possiamo tranquillamente affermare che lo Stato più volte si è prostrato al potere delle mafie tanto da poter dire che oggi i due poteri convivono e prosperano nell’indifferenza generale.

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