La Mario Negri Alumni Association (MNIAA): un’opportunità per i giovani talenti

Intervista a Elena Garbero, ricercatrice all’Istituto Mario Negri

L’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS, è un punto di riferimento nella ricerca scientifica italiana, noto per il suo impegno nel migliorare il trattamento delle malattie e la qualità della vita.
La sua influenza si estende ben oltre i confini nazionali, posizionandosi come un importante player nel panorama della ricerca medica internazionale.

Elena Garbero, una delle figure emergenti dell’istituto, attualmente dirige l’Unità di Gestione Studi Clinici presso il Laboratorio di Clinical Data Science. Il suo lavoro si concentra principalmente nell’ambito degli studi clinici condotti dal GiViTI, Gruppo Italiano per la Valutazione degli interventi in Terapia Intensiva, attivo dal 1991 e coordinato dal Laboratorio in cui la ricercatrice è operativa.

Il GiViTI ha come missione promuovere la ricerca scientifica in Terapia Intensiva attraverso processi di autovalutazione e confronto, mediante la condivisione dei dati raccolti. I progetti in cui è impegnato il GiViTI sono molteplici, spaziano dalle infezioni, ai traumi, ai trapianti di fegato, all’efficienza e all’uso ottimale delle risorse impiegate in questi reparti, e molto altro.

L’impegno dell’Istituto nella lotta contro la fuga dei cervelli è evidente attraverso iniziative come la Mario Negri Alumni Association (MNIAA), che supporta i ricercatori italiani permettendo loro di acquisire esperienze internazionali e di ritornare in Italia per applicare e diffondere le conoscenze acquisite.

Garbero è uno degli esempi di successo di questa iniziativa, che grazie a una borsa di studio, ha potuto completare la sua formazione all’estero, per poi ritornare all’Istituto e contribuire significativamente nel campo della ricerca medica italiana.

Come ha influenzato la sua formazione e la sua visione della ricerca il periodo trascorso all’estero grazie alla borsa di studio della MNIAA?

Seppur per un breve periodo, ho potuto lavorare in una città energica come è Londra, stando a contatto con persone che provenivano da tutto il mondo. Ho potuto osservare un diverso approccio alla soluzione dei problemi, in un team di ricerca multidisciplinare, in cui ogni figura contribuiva in modo diverso allo studio delle patologie neurologiche.

Questa esperienza mi hai poi permesso di mettere a confronto il metodo di lavoro del mio laboratorio di origine e quello in cui ero in visita. Tornando a casa ho constatato con orgoglio che, per certi aspetti, quanto viene fatto in Italia è davvero di qualità.

Quali sono stati i risultati più significativi degli studi che ha approfondito durante la sua esperienza all’estero?

Durante il mio soggiorno all’estero ho potuto seguire un progetto multicentrico nel quale eravamo impegnati in quegli anni, chiamato BIO-AX-TBI (Developing and validating blood and imaging BIOmarkers of AXonal injury following Traumatic Brain Injury).

Elena Garbero, ricercatrice all’Istituto Mario Negri

In questo studio sono stati analizzati biomarcatori circolanti nel plasma e risonanze magnetiche per caratterizzare il danno assonale. I risultati dello studio hanno mostrato come la misurazione della concentrazione di una particolare proteina plasmatica potrebbe migliorare la diagnosi e la prognosi dopo trauma cranico. I dati raccolti in questo studio sono stati oggetto di numerose pubblicazioni scientifiche. Inoltre, i campioni biologici raccolti continuano a rappresentare una risorsa inestimabile per future analisi.

In che modo l’Istituto Mario Negri e la MNIAA stanno lavorando per incentivare i giovani talenti italiani a rimanere nel paese o a ritornare dopo esperienze all’estero?

Penso che il problema sia più ampio. L’Istituto e la MNIAA, attraverso iniziative come quella che mi ha permesso di andare all’estero o simili, provano a dare nuove opportunità ai giovani, con l’idea che quanto di nuovo imparato possa essere trasmesso al laboratorio di provenienza. Però, credo che lo Stato dovrebbe sostenere più efficacemente la ricerca, considerandola un importante investimento per il Paese. Se ci fossero più risorse dedicate gli Istituti come il nostro potrebbero fare molto di più.

Quali sono i suoi obiettivi a breve e lungo termine nella ricerca?

Da sempre il GiViTI, gruppo per il quale seguo la gestione degli studi clinici, lavora nel campo della valutazione e miglioramento della qualità dell’assistenza in Terapia Intensiva.

Stiamo lavorando affinché nei prossimi anni la nostra raccolta dati venga riconosciuta a livello nazionale, così che il lavoro di confronto tra i reparti di Terapia Intensiva che effettuiamo venga riconosciuto e sfruttato da enti istituzionali nazionali. Abbiamo già ottenuto tanto in questo senso, diverse Regioni collaborano con noi, ma le analisi che produciamo vorremmo potessero sfruttate da tutto il territorio e non solo localmente.

Ha nuovi progetti o collaborazioni internazionali in vista?

La collaborazione che ha gli obiettivi più ambiziosi è quella con la rete LOGIC, un consorzio indipendente che racchiude 18 Paesi, tra cui l’Italia. Tutti i Paesi coinvolti hanno un’esperienza consolidata nella raccolta dei dati clinici dei pazienti ricoverati in Terapia Intensiva. Lo scopo è quello creare database con grandi quantità di informazioni per migliorare la qualità delle cure e l’esito dei pazienti, oltre che potenziare la ricerca clinica in questo ambito.

Cosa si sente di dire a un giovane studente che vuole intraprendere la strada della ricerca?

Se un giovane studente o studentessa mi dicesse del suo desiderio di fare ricerca, gli risponderei con entusiasmo e mi farei raccontare quello che vorrebbe fare. Troppo spesso i giovani vengono scoraggiati quando pensano a questo tipo di lavoro.
Ricordo io stessa, il giorno in cui andai in un ospedale per chiedere la disponibilità di tesi: il professore mi disse che se fosse tornato indietro avrebbe venduto fiori.

Trovo i fiori meravigliosi e vorrei averne la casa piena, ma non darei ad una giovane ragazza che chiede la tesi in Biotecnologie del Farmaco questo tipo di consiglio. Ovviamente non ho svolto lì la mia tesi di laurea.

Gli altri discorsi che spesso si sentono sono: gli stipendi sono bassi, rimarrai nel precariato una vita, in Italia non hai nessuna possibilità. Sicuramente queste sono considerazioni reali e che vanno prese in considerazione, ma la ricerca non deve essere ridotta a questo. Io in questi anni al Negri ho conosciuto persone meravigliose.

Elena Garbero

Fare ricerca è stare a contatto con persone che hanno voglia di fare, con studenti da formare e che hanno ambizioni e tenacia.

Fare ricerca è fare un lavoro che cambia spesso e ti permette continuamente di imparare, di studiare, di metterti in gioco.

È un lavoro in cui si deve essere pazienti perché non si hanno subito le risposte, a volte dalle domande che avevi se ne generano altre, ma ogni pezzetto in più di conoscenza è una carica di energia.

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