Alluvioni e frane, Italia a rischio

ROMA – Alluvioni e  frane in autunno e in primavera, siccità in estate. Questo è quanto avviene da almeno 15 anni nel nostro paese. Sono gli effetti dell’innalzamento della temperatura che si abbattono come flagelli su un paese che ha il 70% del proprio territorio a rischio, che è stato in gran parte degradato dalla cementificazione selvaggia e che non ha un governo degli usi dell’acqua. Interi bacini idrografici come quello del Po passano nello stesso anno dalla siccità ai rischi di inondazione.

Nei dieci anni successivi alla tragedia della “frana di Sarno” ( 1998, 160 vittime) si sono avute oltre 100 vittime. Tra il 2010 e il 2011 si sono avute numerose vittime e danni alle imprese e alle famiglie per 2.200 mln, a cui vanno aggiunti, come dice il presidente della regione Veneto Zaia, il miliardo e mezzo per l’alluvione del 2010. I costi economici per l’emergenza sono elevatissimi e nettamente superiori agli investimenti necessari per i piani predisposti e non attuati. I lutti e i danni sono enormi e non più ammissibili.

Questi drammatici dati sono stati negati dalle destre tanto che sono intervenute con tagli del 60% alle risorse stanziate dal centrosinistra, azzerato poi di fatto il miliardo stanziato nel 2010 così come le risorse ordinarie, ‘dimenticato’ di applicare le direttive europee e l’istituzione dei distretti idrografici. Il ruolo improprio affidato alla protezione civile di Bertolaso, l’istituzione di ben 20 commissari straordinari e la parallela paralisi degli organismi ministeriali e delle autorità di bacino hanno assestato infine il colpo di grazia. Mentre si pensava ai condoni.
Per i danni provocati dalle alluvioni e dalle frane di questi giorni il governo Monti ha stanziato 250mln di euro. Bene ma insufficienti e privi di una politica nazionale sul dissesto idrogeologico. Il ministro Clini ha promesso un programma d’intervento, speriamo almeno che si proceda celermente al superamento del patto di stabilità che impedisce ai comuni d’intervenire. 

Chi ha governato in questi decenni ha la grave responsabilità di non aver avuto e dato consapevolezza, che il territorio e le città sono un bene comune, che è necessaria la manutenzione, che la rete idraulica è inadeguata e che tutto ciò va governato con  una stabile ed efficace politica pubblica. Anche il centro sinistra è chiamato a fare sul serio e ad assumersi la titolarità di una storica politica per la difesa del suolo.  Nel suo/nostro programma per la ricostruzione non potrà mancare la principale opera pubblica di cui ha bisogno l’Italia: la difesa del suolo. Dovrà esserci in termini di idea di società  e di priorità programmatica.
Va messa in campo una cultura di governo ecologista. Le cose concrete da fare sono scritte da tempo. Dovranno essere indicati gli strumenti per un governo partecipato e per le risorse (certe e regolari). Andrà superata la logica dell’emergenza. Occorre la riorganizzazione del ministero che deve dare le linee guida per la mitigazione e la prevenzione; vanno istituite le Autorità di Distretto per garantire uniformità di criteri e poteri vincolanti nel regolare l’uso del territorio e delle acque, baricentrandole sulle regioni e gli enti locali; è indispensabile la valorizzazione delle risorse e dei progetti delle autorità di bacino. Fare queste riforme costa zero e fanno addirittura risparmiare, e sorprende che in epoca di spending  rewiev ancora non siano stati aboliti i commissari ministeriali e non sia stato istituito un solido dipartimento per la difesa del suolo e delle acque.
La messa in sicurezza del territorio è una politica complessa e di lungo periodo. Per attuarla occorre la cooperazione del governo centrale e delle amministrazioni regionali e locali, occorre una politica della gestione territoriale fatta di manutenzione, di presidi agricoli in montagna e nelle campagne, di una riorganizzazione del sistema idraulico urbano ed extraurbano, del governo unitario dei bacini idrografici (fiumi, torrenti, aree di rispetto, invasi, falde acquifere, laghi, de-cementificazione di torrenti, rimozione degli immobili nelle zone a rischio) occorre ridurre drasticamente il consumo e l’impermeabilità del suolo, occorrono regole e snellimento delle procedure, fondi pubblici e integrazione con capitali privati nella trasparenza e nel rigore. Occorre applicare le indicazioni dei piani di bacino già predisposti a conclusione di un complesso iter tecnico e partecipativo degli enti locali. Le cose da fare sono chiare e non servono altri piani straordinari, e men che meno annunci clamorosi.
La manutenzione del territorio e la ristrutturazione del sistema idraulico urbano creano migliaia di posti di lavoro stabili, qualificano le imprese e stimolano la ricerca.
Anche così si contrasta e supera la recessione.

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