ROMA – Un anno fa l’Ilva fu commissariata. Questo provvedimento si rese necessario dal momento che c’era il rischio di chiusura a causa di drammatici danni alla salute provocati dal forte e decennale inquinamento sul territorio.
Furono messi sotto sequestro alcuni impianti,gli azionisti e parte dei dirigenti furono indagati. Le procedure d’infrazione europee per il non rispetto delle normative ambientali ovviamente non si fecero attendere.
La città era percorsa da inquietudini profonde: incerto il futuro occupazionale e difficile tutela della salute dei cittadini. Il resto d’Italia rimaneva esterrefatta dalle notizie di degrado ambientale e di irresponsabilità dei vertici dell’azienda.
Oggi, si possono misurare i primi e positivi risultati del lavoro avviato: esiste un piano ambientale, l’Arpa dispone di dati incoraggianti sulla riduzione dell’inquinamento dell’aria, lo stato dei lavori di ambientalizzazione è a buon punto e sono stati attivati il 98% degli interventi previsti; l’impatto sociale e occupazionale è messo su binari giusti. Tutte buone notizie per Taranto, per il Mezzogiorno e per la siderurgia italiana.
A questo punto, sarebbe una sconfitta per il governo Renzi, che punta alle riforme istituzionali e alla creazione di lavoro, se la sfida Ilva venisse bloccata e quindi persa. Anche perché questo tipo di ristruttuarazione ecologica e sociale è una vera innovazione nel modo di procedere dello Stato in quanto è finalizzato al risanamento ambientale, alla difesa del lavoro e alla ricollocazione dell’azienda sul mercato.
Con fatica, lontani dai riflettori e fuori da ogni malsano intreccio tra affari e politica, si sta realizzando l’obiettivo di ambientalizzare e innovare i cicli produttivi e i prodotti. E ciò rappresenta la sola via per garantire salute, lavoro e tutela ambientale. Tuttavia, occorre avere piena consapevolezza che questo obiettivo non solo non è ancora raggiunto ma si devono superare sia gli scetticismi che il contrasto di quanti vorrebbero chiudere l’azienda e lasciare degradare l’impianto con tutto il carico inquinante e il dramma sociale della disoccupazione. La via è certamente stretta ma percorribile.
Dopo un anno però torna una forte preoccupazione per il fatto che qualcosa sembra si sia inceppato negli indirizzi del governo, non solo per il cambio del commissario, ma per l’incertezza che è calata sul da farsi. Infatti, l’incontro tra il nuovo commissario e i sindacati non è andato nel migliore dei modi tanto che questi hanno confermato per l’11 luglio lo sciopero di tutto il gruppo. Viceversa, proprio per i risultati incoraggianti ottenuti, è indispensabile una accelerazione nella direzione già impostata. Serve un impegno e un coinvolgimento pieno di tutto il governo e non solo di qualche ministero, e va rinvigorita la partecipazione delle istituzioni locali e dei cittadini.
Quello che serve quindi è procedere speditamente per realizzare il piano ambientale, che è condizione essenziale per l’innovazione dei prodotti e del ciclo produttivo, e ciò va garantito attraverso un commissario specifico in grado di avere piena e puntuale agibilità decisionale e operativa. Nel contempo, il piano ambientale va messo in sicurezza con finanziamenti stabili e certi possibili sia utilizzando le risorse sequestrate a Milano, sia con una garanzia trentennale dello stato sui mutui bancari.
Certamente parte delle risorse necessarie potrebbero arrivare da eventuali passaggi proprietari dell’Ilva, i quali dovranno garantire oltre la qualità delle produzioni e la salute del territorio anche i livelli occupazionali. La certezza e la garanzia da parte dello stato di continuare nell’opera di rigenerazione ambientale e di rilancio delle produzioni rappresentano una condizione essenziale per suscitare l’attenzione di gruppi industriali veramente interessati al rilancio della siderurgia italiana.
Per questo ogni incertezza, ora, sarebbe ingiustificata e dannosa.