Transizione 5.0, imprese penalizzate

Per chi resta in coda scatta la retrocessione al bonus 4.0. La Transizione 5.0 rischia di trasformarsi in una nuova delusione per molte imprese italiane che avevano programmato investimenti contando sui crediti d’imposta più vantaggiosi del Pnrr.

L’ultimo emendamento governativo alla legge di Bilancio ha infatti reperito 1,3 miliardi di euro aggiuntivi per coprire le domande rimaste inevase, ma con una scelta che penalizza le aziende. Le risorse non verranno riconosciute nell’ambito del piano 5.0, bensì ricondotte al meno conveniente regime Transizione 4.0.

Taglio anticipato ai fondi Transizione 5.0

Secondo quanto riportato da Il Sole 24 Ore, la decisione arriva dopo una serie di interventi che hanno progressivamente ridotto l’efficacia del piano. Il 7 novembre era stato annunciato lo stop anticipato al plafond di Transizione 5.0, inizialmente pari a 6,23 miliardi di euro e poi ridimensionato a 2,5 miliardi, con largo anticipo rispetto alla scadenza originaria fissata al 31 dicembre 2025.

Successivamente, un decreto legge ha stanziato solo 250 milioni di euro, lasciando scoperta una coda di richieste che supera 1,3 miliardi, ora recuperati attraverso una rimodulazione delle risorse Pnrr. Tuttavia, il recupero avviene a condizioni peggiorative per le imprese.

Transizione 4.0 e 5.0: le differenze nei crediti d’imposta

Il nodo centrale riguarda la differenza sostanziale tra i due regimi di incentivazione.

Il piano Transizione 4.0 consente l’accesso a un credito d’imposta del 20% per investimenti fino a 2,5 milioni di euro, che scende al 10% tra 2,5 e 10 milioni e al 5% oltre i 10 milioni fino a 20 milioni.

Il Transizione 5.0, invece, nel 2025 offriva un incentivo decisamente più elevato, arrivando fino al 45% per investimenti fino a 10 milioni di euro, a condizione del raggiungimento di specifici obiettivi di efficientamento energetico. Un vantaggio rilevante, sia in termini economici sia strategici, per chi puntava su innovazione e sostenibilità.

La scelta del Tesoro e l’impatto sul deficit

Alla base della decisione del Governo c’è una motivazione di natura contabile. I crediti d’imposta 5.0, secondo le regole Eurostat, incidono interamente sul deficit nell’anno di realizzazione dell’investimento. Diversamente, per il regime 4.0 era stata concessa all’Italia una deroga che permetteva di spalmare l’effetto sul deficit su più esercizi, essendo una misura introdotta prima dei nuovi orientamenti Eurostat.

La retrocessione delle domande dal 5.0 al 4.0 consente quindi un minore impatto sui conti pubblici, ma riduce sensibilmente il beneficio per le imprese coinvolte.

Le prospettive per le imprese “retrocesse”

Una possibile via d’uscita potrebbe essere l’accesso al nuovo piano Transizione 5.0 che entrerà in vigore dal 1° gennaio 2026, sostituendo il credito d’imposta con il meccanismo dell’iperammortamento. L’emendamento garantisce una maggiore certezza temporale, consentendo di programmare investimenti fino a settembre 2028.

Tuttavia, il nuovo impianto normativo presenta diversi elementi critici:
sono state eliminate le maggiorazioni per la transizione ecologica, introdotta una clausola “made in Europe” che potrebbe complicare gli acquisti di beni strumentali, e ridotta la platea dei moduli fotovoltaici incentivabili.

Avvio rinviato per il nuovo piano 5.0

Il provvedimento dovrà ora passare al vaglio del Ministero dell’Economia e successivamente alla Corte dei Conti, con il rischio concreto di uno slittamento dell’avvio operativo. La partenza del nuovo piano Transizione 5.0, prevista per gennaio 2026, potrebbe quindi ritardare di almeno un mese, aggiungendo ulteriore incertezza per le imprese.

In un contesto in cui la transizione digitale ed energetica resta centrale per la competitività del sistema produttivo, la gestione dei bonus 4.0 e 5.0 continua a rappresentare un terreno critico, tra vincoli di bilancio, regole europee e aspettative delle aziende.

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