Mostre. Daniela Edburg: Is it the end? Or just my imagination

ROMA – C’è un oggetto, prima di tutti, che ci attrae solcando la porta della galleria Spazio Nuovo, florido centro di arte contemporanea ubicato nella Roma più antica.

Si tratta di un cervello realizzato ad uncinetto. Più in là un analogo esemplare, di colorazione e dimensioni diverse: sono le due uniche opere non esposte alle pareti e forse per questo portatrici di un messaggio diretto con l’interlocutore convenuto. Il messaggio è “ammorbidiamo le spigolosità della vita a partire dalla nostra mente” e il collegamento tra il lavoro a maglia e certi fragili stati psicologici è sicuramente una nota autobiografica, molto accentuata nella produzione complessiva di Daniela Edburg, artista messicana che già si è fatta conoscere a livello internazionale, ottenendo ben due residenze in Canada ed Islanda, esponendo in prestigiose location tra Cina, Russia e Stati Uniti, vedendo acquisito in forma permanente un suo intrigante polittico dal Museo delle Belli Arti di Boston, e vincendo, recentemente conferito, il premio Arte Laguna a Venezia come migliore artista straniera. 

Aldilà della formazione artistica o manifatturiera che sia (è lei a lavorare meticolosamente l’uncinetto nelle molteplici forme che la fantasia le suggerisce), Daniela Edburg è una donna che osserva la realtà contagiandola di esplorazione interiore, come un regista portatore di germogli semantici che, sebbene partano da una precisa idea, lasciano ampio spazio all’interpretazione dell’osservatore, plasmandone i contenuti a seconda della propria sensibilità e riflessione. Il condimento di queste atmosfere surreali, eppure immerse nella quotidianità del rapporto tra uomo e natura, o anche tra familiarità domestica e minaccia intrusiva, è ricco di elementi volutamente svuotati dalle loro regolari funzioni, trasformandone gli aspetti di convenzionalità in pura unicità. Partiamo ad esempio dalla serie di nature morte: in esse i classici frutti della tavola, esibiti nei  meticolosi lavori a maglia, sono accostati ad oggetti di diverso consumo ma in questo caso depositari di un pericolo imminente: una lama di rasoio, un paio di forbici od un martello posizionati accanto alla tazza del tè possono certamente far pensare ad una possibile esplosione di violenza o ad un bisogno di protezione da intrusioni esterne. La natura morta si connota poi di ironia vitale quando il momento conviviale della colazione si colora di simboli fallici e sessuali al femminile (“Breakfast with breasts”) o è metafora di risucchio intellettuale: sul piatto dell’opera “Breakfast with brain”, forse l’immagine in mostra più legata al nostro io contemporaneo, un cervello sta per essere ingurgitato insieme ad un buon caffè, sotto l’egida di un timer che cronometra l’azione.

Il Tempo è un altro importante concetto nell’arte evolutiva della Erdberg, sia esso espresso nella sensazione di “osserva e cogli l’attimo”,  testimoniato da un bicchiere pieno di ghiaccio (che quindi a breve si trasformerà in acqua) nell’opera “Breakfast with razor”, sia dalla trasformazione cronologica di un’azione umana a contatto con un essere od oggetto non identificato, trasformazione che comporta un totale ribaltamento del pensiero abitudinario. Eccezionali in questo abito sono le opere “The mourning birds”, dove una classica impiegata americana con in mano il suo caffè e indosso un paio di Converse, si ritrova in un campo di uccelli agonizzanti (ad uncinetto) o in “The gathering” dove un gruppo di eleganti festaioli è calamitato da una voragine apertasi nel centro di una steppa sconfinata: in entrambi i casi la luce del Nuovo e del non concepibile dalla mente umana, lascia spazio alla curiosità, piuttosto che alla Paura, regalando un momento di ottimismo seppur filtrato da una provocata riflessione. Sulle orme della realtà irreale anche le scene, oseremmo dire alla “Quentin Tarantino” per la loro matrice surreale e grottesca, di foreste e praterie disseminate da cervelli volanti (“The cornfield”, “The forest” e “The hovering brain”) con giovani in fuga, chiaro ma non univoco messaggio rivolto alle nuove generazioni defraudate, allo stato attuale, di un’approfondita conoscenza della vita. Infine la Natura, presa per se stessa e fonte di primaria ispirazione per l’artista, è la protagonista delle tre opere realizzate in Canada e denominate “Enchantillon”, nel quale il ricordo dell’infinito paesaggio studiato è testimoniato, accanto ad ogni fotografia, da un ironico souvenir (sia esso muschio, sterco di cervo o un pezzo di nuvola), realizzato ad uncinetto. Sono opere – quelle create da Daniela Edburg – miste di assurdità, sorpresa e timore, ma concimate da un’effervescente immaginazione che interroga i sentimenti ed i rapporti umani, inducendo l’occhio a dialogare con lo spirito.

DANIELA EDBURG

“Is it the end? Or just my imagination”

A cura di Paulo Perez Mouriz e Guillaume Maitre

26 ottobre – 30 novembre 2013

SPAZIO NUOVO Contemporary Art

Via D’Ascanio 20 – Roma

www.spazionuovo.net

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