Umberto Tozzi, ultimo concerto del tour (e della carriera): quanto amore in musica!

Erano oltre tremila i fan accorsi lo scorso 2 maggio per l’ultimo concerto della carriera di Umberto Tozzi, cantante, compositore, polistrumentista che, dagli anni Settanta ad oggi, ha sfornato decine di pezzi di successo, tradotti e reinterpretati da pop star di calibro internazionale.

Ma la voce inconfondibile resta la sua: a 73 anni compiuti, la scansione delle parole d’amore di un’anima rispettosa della donna (reale o immaginaria) ed una estensione che sfocia in incisi impossibili da non ricantare, oltre al timbro unico, confermano che solo lui è il proprietario di quel marchio di fabbrica sonora, tra pop e rock, capace di passare dalla platea di Sanremo alle discoteche con una freschezza immutata.

Dalle luci dei telefonini accese al giorno agli abbracci degli innamorati in platea o alle groupies che tra le poltrone volevano scatenarsi fin dall’inizio a ballare un repertorio che va oltre il nazional-popolare, il pubblico ha goduto di un’atmosfera di assoluta condivisione, gioia e incredibile potenza sonora per ben due ore di fila di spettacolo, grazie alla verve dell’artista, concentrato dietro i suoi occhiali da sole, e il talento di eccezionali musicisti: una band formata da tre fiati, tre ritmiche, tre strumentisti a corda, un batterista e un tastierista con polisintetizzatori in grado di spaziare nei tappeti musicali del tempo.

Erano gli anni Settanta, quelli di “Ti amo”, ma anche di uno dei primi brani composti in assoluto, “Donna amante mia”, riarrangiato in maniera alquanto originale per l’occasione, e di “Tu”, trasformato in un omaggio quasi techno al “dam dadadam dadadam…” del ritornello.

Spuntano in prima linea anche i lati B dei piccoli dischi in vinile, a cominciare di “Io camminerò” brano all’apparenza maschilista (se considerato di questi tempi) ma dall’impronta gravida di uno spirito sano di costruzione della coppia, come anche la pregnante “Dimentica dimentica”, che indaga nella malinconia e nella paura di vivere e cadere negli abissi dopo la fine di una storia, forse la più toccante del concerto in un assolo che dimostra la versatilità di un autore, musicista, cantante in grado di spaziare con nonchalance da tonalità minori a maggiori e scalando continui cambi di tonalità – qualità di molte sue composizioni – per realizzare un crescendo che produce all’ascolto un’energia assoluta.

Un coro unanime nella sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, riempita fino agli strapuntini, intona insieme al suo mentore “Notte rosa” (ottima idea per iniziare in maniera ipervitaminica il concerto), “Si può dare di più”, “Gente di mare”, “Io muoio di te” e un’altra ventina di brani di cui forse si ricordano poco i titoli ma che non sfuggono alla memoria emotiva che si ricorda le parole e le suggestive e intramontabili melodie. 

Il movimento della sala segue dall’inizio alla fine il fiato di Tozzi, respira con lui, fino all’ultima boccata di ossigeno, quando “a mancare nell’aria” non è solo “Gloria”, nella sorprendente extended version del finale con un disegno di luci di pura maestria a coreografare quello che oramai è diventato uno stadio di bravi tifosi dell’emozione, ma a togliere il respiro è l’ultima nota della performance.

È in quel momento che l’amico complice amante psicologo del cuore con cui si ha condiviso una bellissima vita virtuale   ha quasi timore a lasciare il palcoscenico e non smette di toccare le mani del suo pubblico; ed è lo stesso momento in cui sale, in chi ha presenziato questo memorabile evento, la consapevolezza che non solo il tour di Umberto Tozzi si è definitivamente concluso, ma con esso una intera epoca.

Un’epoca di sentimenti espressi da una musica semplice, solare, profonda e assolutamente “evergreen” perché continuerà ad essere capita – e cantata – anche dai più giovani… e sicuramente anche dal bimbino dal capo biondo in spalla al padre trascinato sotto il palco per un’ultima incoraggiante benedizione.

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