La grande bellezza accende la critica

ROMA – La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino torna a far sperare il cinema italiano dopo l’entrata alla nomination come miglior film straniero. A dire il vero qualche  prestigioso riconoscimento l’ha già ottenuto come agli Efa, gli European Film Awards, e al Golden Globe, nonostante parte della critica italiana non abbia risparmiato aspre critiche a questo film.

Eppure Sorrentino è stato davvero abilissimo nel raccontare   la decadenza di una società in piena crisi identitaria, attraverso il viaggio disincantato di un giornalista,  Jep Gambardella , interpretato magnificamente da un Tony Servillo, che si muove all’interno di questa compagine combattuto tra quello che vive e quello che non potrà più. Forse ha dato fastidio ad alcuni riconoscersi in un film, che nella sua massima estremizzazione, tra lussuria e compassione, mette in risalto quella società ricca e opulente, ma allo stesso tempo cafona e arrivista,  che ostenta ricchezze apparenti in un vuoto esistenziale senza risoluzione.

Tra feste e incontri mondani traspare, sebbene in un sarcasmo spesso portato all’estremo, l’isolamento dell’individuo che rispecchia perfettamente la società attuale, quella dei consumi e quella che ha perso completamente il senso della realtà. Una situazione che alla fine esaspera e inquina gli animi, tanto che qualcuno, come Romano interpretato da Carlo Verdone,  alla fine abbandonerà il campo sconfitto dalla metropoli capitolina per tornare dopo cinquant’anni al paesello d’origine.

Tuttavia è bastata l’apparizione nel film di una vecchia  donna religiosa, una sorta di Madre Teresa di Calcutta, goffa e silenziosa, a volte moribonda nelle sue poche gestualità, da mettere a repentaglio l’armonia di quel mondo annoiato e frivolo, in una vita ironicamente drammatica, alla quale si cerca disperatamente di dare un senso. Insomma,  poli opposti che s’incontrano in una compagine moderna caduta nel vuoto profondo dell’effimero.

Sorrentino è riuscito con maestria ad introdurci in questo film con una fotografia davvero superlativa e una colonna sonora che calza perfettamente con le immagini di una Roma che, nonostante tutto, riesce ancora ad affascinare anche l’occhio più disattento. 

Quando il regista sfornò Il Divo, molti lo annunciarono come un capolavoro ed ora indubbiamente il confronto della critica viene da sé. Ma questo è un altro film. Forse la trama non sarà poi così complessa e strutturata, ma il messaggio è inequivocabile: questa è la società spregiudicata e insolente che si riconosce nella banalità del vivere.

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