Arte. Massimo Fedele in mostra a Via Margutta

ROMA – Interessante davvero questa mostra in collaborazione con la Galleria Fondaco di Roma e in esposizione da Babette, accogliente locale situato in Via Margutta, luogo che, a proposito di arte e pittura, evoca scenari di tradizione e suggestione.

L’artista, proveniente dal teatro in cui da anni si cimenta come attore, è approdato alle arti figurative passando per quello spazio ibrido, intimo, dove la parola sottrae la sua sostanza sonora per dare spazio all’immagine, creando universi paralleli nei quali i concetti di infinito, di sconfinato, non assumono solo il sapore di metafora ma diventano presenza, babele di linguaggi che fra loro comunicano con la stessa immediatezza del gesto.
Ecco allora che l’opera di Fedele si fa onnivora, nutrendosi di immagini fra loro disparate che, attraverso esperienze di vita, frammenti di memoria e riverberi dell’inconscio creano un linguaggio composito, mutevole, stigma assoluto di metissage. Attraverso una tecnica mista, assimilabile al collage, che contempla l’utilizzo di dipinti, fotografie, getti di colore, Fedele costruisce storie compiute e sensazioni materiali, opere in cui la musica gioca un ruolo fondante, sia in termini di ispirazione sia di presenza.

Da ciò nasce l’opera “Sinfonia n. 9 di Beethoven”, per cui l’aggettivo corale ha valenza onomastica quanto simbolica, in cui immagini di bighe e di soldati a cavallo trasvolano un mare che nella sua calma immobile tradisce il lavorio incessante della vita, della natività, sorta di mito di fondazione nel quale musica e linguaggio si uniscono in liquida sintassi. Alla stessa maniera l’opera “Anastasia Nikolaevna Romanov”, quasi un manifesto alla rivoluzione e alla nascita del movimento futurista, concepita sulle complesse architetture armoniche di Rachmaninoff, quadro nel quale due enormi braccia, immerse in un mare di immagini disparate, sono protese alla ricerca di un contatto. Come di un gesto, anche qui, a simboleggiare la nascita di una vita nuova.

Quindi l’opera “Cosmos”, partorita sulle note del compositore Vangelis – Blade Runner nella fattispecie – a simboleggiare il rapporto tra l’uomo e l’universo stellare, giocata da immagini armoniche, quasi archetipali nella loro presenza, ed una struttura tonale di sfere celesti; quadro che evoca le scenografie e le suggestioni di Georges Meliès. Ed ancora “Mythos 2”, sempre ispirato alla musica di Vangelis ed in cui gli elementi archetipali si stagliano in tutta la loro forza, popolando una sorta di tableau vivant, seppure privo di presenza umana, tale è l’impeto del tratto e dell’immagine.
E da Vangelis si passa alla musica dei Pink Floyd, con l’opera “The dark side of the moon”, a completare un universo musicale assai composito, che fa da guida ed approda in un groviglio di immagini deflagranti in uno spazio urbano, post-moderno, tanto che le eco di Blade Runner sembrano dialogare, in una sorta di canone, con le atmosfere psichedeliche evocate dal titolo.
Opere, queste, cui ne seguono molte altre, tutte meritevoli di nota e attenzioni.
Gli astanti osservano in “tenzone” assoluta, vivace, partecipe; testimonianza dell’opera di un artista che, attraverso le immagini partorite dallo scrigno del proprio inconscio, è riuscito pienamente nel suo intento. In mostra fino al 28 aprile.

Da “Babette” – Via Margutta n. 1/D

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