È scomparso a 91 anni Mimmo Jodice, tra i massimi fotografi italiani del Novecento e del nuovo secolo. Nato nel Rione Sanità nel 1934, autodidatta rigoroso, ha trasformato la fotografia in un linguaggio capace di abitare la soglia tra realtà e visione.
La sua morte, avvenuta a Napoli a fine ottobre 2025, chiude una vita interamente dedicata a indagare tempo, memoria e forma, con un bianco e nero incisi come pietra e insieme mobili come il mare.
Dalle sperimentazioni all’insegnamento: una scuola dello sguardo
Negli anni Sessanta Jodice entra nel circuito dell’arte d’avanguardia napoletana: con Lucio Amelio espone e dialoga con Warhol, Beuys, LeWitt, Pistoletto, Kounellis e Burri. Dal 1970 al 1994 insegna all’Accademia di Belle Arti di Napoli, formando generazioni di autrici e autori e consolidando l’idea della fotografia come disciplina autonoma del pensiero, non semplice “ripresa” del reale. Riconoscimenti come il Premio Feltrinelli (2003) e la laurea honoris causa in Architettura (2006) sanciscono un percorso già internazionale.
La svolta di Vedute di Napoli (1980): la città metafisica
Con Vedute di Napoli Jodice abbandona definitivamente la dimensione documentaria per costruire una città rarefatta: nessuna figura umana, orizzonti calcinati di luce, panni stesi come drappi votivi, cornici barocche tranciate da fili per il bucato. Napoli diventa un teatro mentale, un luogo senza tempo in cui l’eco dell’antico vibra dentro l’oggi. Questo ciclo è tra i più studiati e collezionati, presente in musei e aste internazionali.
Anamnesi: quando l’antico guarda noi
Nel ciclo Anamnesi (anni ’80-2000 e oltre), statue classiche e reperti archeologici emergono dal buio come apparizioni. La luce, cesellata in camera oscura, dà un respiro quasi animale ai marmi; gli occhi ciechi delle sculture sembrano interrogarci. È la fotografia come rievocazione — anamnesi, appunto — in cui il passato non è reperto ma presenza attiva. Mostre, cataloghi e retrospettive hanno fissato questo nucleo come uno dei vertici poetici dell’autore.
Il Mediterraneo come origine (Mediterraneo, 1995)
A metà anni Novanta Jodice attraversa il bacino mediterraneo trasformando porti, rovine, coste e isole in un atlante mitico. Mediterraneo è il progetto in cui la sua idea di “tempo sospeso” si fa geografia interiore: il mare è piano nero, piombo o latteo; le rovine non sono memorie morte ma strutture di senso. Critica e istituzioni hanno riconosciuto in questo lavoro l’apice di una riflessione pluriennale su antichità e identità.
I “Mari” e l’attesa
Il tema marino attraversa decenni di ricerca. Dai litorali campani a Cartagine, da Lipari ad Almería, le superfici d’acqua diventano campi metafisici dove accade quasi nulla: il minimo necessario perché la visione si compia. È il laboratorio dell’“attesa”, cifra che il Madre di Napoli ha consacrato in una retrospettiva di oltre cento opere (1960-2016).
Tecnica e stile: la camera oscura come officina del pensiero
Jodice lavora la gelatina ai sali d’argento con una perizia che evita ogni virtuosismo compiaciuto. Contrasti controllati, neri profondi, una gamma dei grigi che non è mai neutra: la stampa è parte costitutiva dell’opera, non post-produzione cosmetica. La sua fotografia non “ferma” il tempo; lo dilata. In mostra, spesso organizza per capitoli — Anamnesi, Linguaggi, Vedute di Napoli, Città, Natura, Mari — restituendo un pensiero coerente sull’immagine come conoscenza.
Un’eredità museale e civile
Le opere di Jodice sono presenti in importanti collezioni pubbliche — dal Museo di Capodimonte alla Bibliothèque Nationale de France, da musei italiani a istituzioni internazionali — a testimonianza di un impatto che ha travalicato i confini nazionali. Il suo archivio, immenso, è stato più volte indicato come futuro fulcro di un progetto museale a Napoli: un patrimonio non solo artistico ma identitario per la città.
Mostre recenti: una classicità sempre contemporanea
Negli ultimi anni, cicli e antologiche hanno ribadito l’attualità del suo sguardo: Senza tempo (Gallerie d’Italia Torino e Villa Bardini, Firenze) ha proposto 80 lavori dal 1964 al 2011, mentre focus monografici come Mediterraneo al MAXXI ne hanno ricostruito genesi e sviluppo attraverso materiali d’archivio. Anche nel 2025 Napoli ha dialogato con la sua “metafisica”, mettendo in relazione le sue immagini con i dipinti di de Chirico.
Riconoscimenti e influenza
Oltre ai premi, il lascito più potente di Jodice è una pedagogia dello sguardo: insegnare a “vedere bene”, come amava ripetere, significa concedere alla luce il tempo di scolpire il mondo. Critici e storici hanno spesso definito la sua fotografia “classica e metafisica”: classica per la misura, metafisica per la capacità di evocare l’invisibile nel visibile. Non a caso, molte sue immagini sono diventate veri e propri “luoghi comuni” dell’immaginario urbano e mediterraneo — ma comuni solo perché profondamente condivisi.
Il commiato
La notizia della morte ha suscitato un’onda di tributi: non soltanto il cordoglio del mondo della fotografia, ma il riconoscimento pubblico a un autore che ha restituito dignità e mistero alle nostre città, ai nostri mari, alla nostra memoria. Napoli, che “non finisce mai di morire e di rinascere”, era il suo centro di gravità: da lì ha parlato al mondo intero. Oggi quell’opera resta come bussola, per ricordarci che la fotografia è, prima di tutto, un esercizio di ascolto.


