Arte. Palazzo Medici Riccardi. “Firenze 1966 – 2016. La bellezza salvata”

Dal 1 dicembre al 26 marzo 2017, Palazzo Medici Riccardi (sede nel 1966 del Museo Mediceo) ospita la mostra, curata da Cristina Acidini e Elena Capretti, che fa il punto sul terribile cataclisma che all’alba del 4 novembre 1966 sconvolse Firenze e la Toscana

FIRENZE – Alla fine di un mese dedicato alla ricorrenza della tragica alluvione che 50 anni fa colpì Firenze, devastando il patrimonio di chiese, musei e istituti culturali in città e nel territorio, la mostra Firenze 1966 – 2016. La bellezza salvata, a cura di Cristina Acidini e Elena Capretti, assume il valore di un bilancio, facendo il punto sull’immenso danno subito, ma anche sullo straordinario lavoro svolto nell’arco di questi anni e su quanto resta ancora oggi da fare. 

Come spiega la curatrice Cristina Acidini l’augurio è che “la missione comunicativa di questa mostra sia percepita così come l’abbiamo progettata ed espressa: e dunque non in termini di mera rievocazione della tragedia o di pur doverosa celebrazione della ‘resilienza’ del patrimonio culturale, bensì come strumento per trasmettere memorie e sensibilità specifiche a chi non c’era”.

Promossa da Regione Toscana, Firenze Città Metropolitana, Comune di Firenze e Comitato Firenze 2016, con i fondamentali contributi dell’Opificio delle Pietre Dure e dell’Università di Firenze, la mostra, aperta al pubblico dal 1 dicembre al 26 marzo 2017, è prodotta e organizzata da MetaMorfosi con la collaborazione di Opera Laboratori Fiorentini – Civita.

Il Presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, presentando l’esposizione, ha dichiarato: “Firenze 1966  – 2016  La bellezza salvata” ha il merito di raccontare da un punto di vista originale – quello dell’arte e del restauro artistico – l’alluvione di Firenze, un evento che in poche ore sommerse non solo la città, ma anche la convinzione che il suo inestimabile patrimonio artistico fosse inamovibile ed eterno”. Rossi ha inoltre aggiunto: ” Il grido di aiuto dei cittadini di Firenze provocò una risposta concreta ed efficace che, dal fango e dalla distruzione, trovò nuove forme nella nascita e nella condivisione di conoscenze e di un saper fare di cui fu figlia, solo per fare un esempio, la Scuola di Alta Formazione del Moderno Opificio delle Pietre Dure di Firenze, che vide la luce nel 1975”.

La rassegna, significativamente ospitata negli ambienti monumentali di Palazzo Medici Riccardi, dove aveva sede nel 1966 il Museo Mediceo, letteralmente annientato dall’acqua, si presenta come un itinerario articolato fra alcuni dei luoghi più colpiti dall’alluvione del ’66 (musei, collezioni, biblioteche, archivi, luoghi di culto). 

Un nucleo selezionato di 150 opere, fra dipinti, sculture, libri, documenti, oggetti d’arte applicata, strumenti musicali e scientifici, accompagnate da fotografie storiche e alcuni video, documentano i danni e gli interventi di recupero. Un percorso vario e ricco dunque che, nella diversità delle opere selezionate, intende anche svelare realtà meno note, risultati raggiunti fra i meno scontati, tecniche e metodologie di intervento messe a punto e affinate nel tempo, insieme a nuclei collezionistici quasi sconosciuti al grande pubblico. Alle opere restaurate sono accostate altre ancora in attesa o persino irrecuperabili, almeno per il momento, con l’auspicio che il processo di recupero, ormai a uno stadio molto avanzato, possa presto concludersi. 

Mantenendo dunque questo filo conduttore, l’itinerario della mostra è articolato in diverse sezioni. Si apre con i Musei e le Collezioni, come l’allora Galleria degli Uffizi, richiamata in mostra da marmi di arte romana e un grande arazzo secentesco delle manifatture granducali, opere un tempo poste al pianterreno o nei depositi; il Museo Nazionale del Bargello con esemplari dell’Armeria, il Museo Archeologico, testimoniato da due capolavori etruschi unici al mondo: la Mater Matuta, e Cinerario di Montescudaio. Poi ancora il Museo Bardini, così come il Museo della Fondazione Horne

Aprono la sezione dedicata ai Luoghi di Culto, Santa Croce e il complesso dell’Opera del Duomo. Fra i dipinti di Santa Croce spiccano in particolare due grandi tavole di Carlo Portelli e Giovan Battista Naldini, il cui recente restauro viene presentato in questa occasione con risultati stupefacenti, come testimoniano le fotografie scattate prima degli interventi. L’Opera del Duomo è testimoniata da tre dei raffinati 58 corali miniati. Dalla Comunità Ebraica proviene invece una raffinata selezione di diverse tipologie di oggetti liturgici, mentre altre opere, appartenenti a luoghi di culto della città e del suo territorio, portano ancora evidenti i segni impressi dal diluvio, come la pala con la Trinità di Neri di Bicci nella chiesa di San Niccolò in Oltrarno, o quella con la Madonna col Bambino e santi di Francesco Botticini(divenuta simbolo della mostra) in Sant’Andrea a San Donnino, nella zona periferica di Campi Bisenzio, dove nel ’66 l’acqua raggiunse i 6 metri di altezza. 

La Carta è il settore più vasto del patrimonio culturale colpito dall’alluvione del 1966, in particolare presso la Biblioteca Nazionale Centrale, l’Archivio di Stato, allora ancora ospitato nel palazzo degli Uffizi, e presso gli archivi di privati e di enti vigilati dalla Soprintendenza archivistica per la Toscana, nonché nelle biblioteche storiche come il Gabinetto Vieusseux a Palazzo Strozzi, dove il 90% del patrimonio librario storico venne sommerso nei sotterranei. Anche il settore delle Raccolte scientifiche venne duramente colpito, a cominciare dal Museo di Storia della Scienza (oggi Museo Galileo) affacciato sull’Arno.

Chiude il percorso espositivo la sezione “Ultimi”, nella quale si intende portare l’attenzione su opere, che rischiano di essere dimenticate. Come ricordato infatti dal Sindaco di Firenze Dario Nardella: “è un aspetto che si dimentica, ma sono ancora tante le opere da restaurare perché devastate da quella che il poeta Carlo Betocchi definì in versi ‘l’empia cavalla della piena’”. Ci sono dunque ancora dipinti (tavole, tele, affreschi, sinopie), sculture, arredi ecclesiastici provenienti da chiese della città e del territorio, ancora nei depositi o presso gli istituti di restauro. L’intento è quello di incoraggiare adeguati finanziamenti e interventi. 

Pietro Folena, presidente di MetaMorfosi, ha voluto sottolineare come sarebbe stato un grave errore per Firenze, e per la memoria nazionale, rinunciare a questa mostra in ragione delle difficoltà incontrate nel reperimento di risorse finanziarie. “ Anzitutto – ha spiegato Folena – perché dopo la tragedia c’è stato uno straordinario lavoro, prima di tutto organizzativo e amministrativo, che ha permesso di avviare un processo di sistemazione e qualificazione del sistema dei beni culturali a Firenze”. “Ma c’è una seconda ragione che dà un senso ‘politico’ a questa mostra”.  – ha aggiunto il presidente di MetaMorfosi – “Il susseguirsi di terremoti nel centro Italia, coi danni gravissimi provocati a tutto il tessuto urbano e sociale di quelle aree, ha riproposto il tema, sempre accantonato dopo la prima emozione in seguito a grandi sciagure naturali, della messa in sicurezza del territorio e, nel territorio, dei beni culturali. Questa è la vera e grande opera pubblica, a cui possono concorrere tanti privati, che può rilanciare l’economia e la credibilità del Paese. Nell’ultimo secolo il territorio è stato saccheggiato, ed oggi è più fragile ed esposto ai rischi ambientali, e il patrimonio culturale è stato, salvo molte eccezioni – oltre a quelle accennate –, lasciato all’incuria. Nell’ultimo ventennio in particolare la spesa per la cultura rispetto ai grandi paesi europei è rimasta di gran lunga la più bassa. Si sono smantellati interi settori pubblici, e le porte per far entrare giovani che con entusiasmo si sono laureati in materie connesse ai beni culturali sono rimaste sbarrate. Qui si misura la memoria del 1966. Con la capacità delle classi dirigenti di oggi – in tutti i settori pubblici e privati – di dar vita ad una forma condivisa di governance della messa in sicurezza del territorio e dei beni culturali” ha concluso Folena. 

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