La Scelta. Non ci è piaciuto, perché. Recensione. Clip

L’attualità di Pirandello o il dramma fragile di Placido

ROMA – Guerre, rivoluzioni, migrazioni non bastano a cambiare il pensiero collettivo, ancor meno la morale comune. Dopo quasi un secolo Pirandello torna in scena ma senza scandali né censure. Michele Placido rilegge l’Innesto del drammaturgo siciliano premio Nobel insieme a due attori “popolari”, Raoul Bova e Ambra Angiolini, per raccontare una storia di violenza, orgoglio e coraggio ambientata a Bisceglie, nella Puglia che è ormai “l’Hollywood italiana”, come il regista ama definirla. La Scelta, scritta da Michele Placido e Giulia Calenda, è un “thriller sentimentale” che indaga nell’animo di un uomo offeso nella sua virilità e di una donna desiderosa di diventare madre. 

Laura e Giorgio, sposati e apparentemente felici, conducono una vita serena tra l’agiatezza borghese e le soddisfazioni quotidiane. Imprenditore nell’Innesto, Giorgio di Placido è un gestore di un’enoteca. Laura, invece più vicina a Mozart che ai vini pugliesi, più colta e intellettuale, dirige un coro di bambini. Una diversità culturale che emerge nel procedere della narrazione, senza però creare ostacoli alla vicenda sentimentale. Poi uno stupro segna indelebilmente la vita di lei, l’irruzione di un gravidanza sconvolge la vita di coppia, seminando il dubbio sulla paternità del bimbo. Solo un grande amore può superare la dolorosa prova che devono affrontare. Una prova che impone una scelta. Ma quale scelta fare per essere ancora felici? 

“Si è macchiata della colpa più ignobile senza averne colpa”, scriveva Pirandello. Le donne del primo Novecento avrebbero risposto con il silenzio, accettando la vergogna e nascondendo la ferita. Laura di Placido è una donna libera che sfida gli eterni pregiudizi e i tradizionali schemi. Accettare di dare alla luce il figlio della violenza subita in nome dell’amore è la scelta coraggiosa e anticonvenzionale della Laura contemporanea. 

Pirandello era spesso ispirato da “figure femminili potenti”, ricorda Placido. Laura è una donna che decide di non raccontare la sua vergogna, per poter reagire alla vita che nonostante tutto rinasce. Ma il confine tra il silenzio della colpa che riduce le donne all’impotenza e il silenzio di Laura inteso come azione volta alla rinascita, è troppo lieve, quasi ambiguo. La sua forza finisce per apparire quasi una forma di ossessione per una maternità voluta ad ogni costo e a prescindere dall’altro. Di fronte alla pervasività e maestosità della figura femminile, all’uomo non rimane che l’accettazione, la remissività. 

La soluzione finale è la scelta che Laura impone a Giorgio, un uomo di cui Placido non smette di ricalcare la fragilità e in un certo senso eccessiva passività, sottolineata dalla mimica facciale quasi nulla di Raoul Bova. Giorgio rimane paralizzato quando Laura gli racconta della violenza subita, non sa come reagire di fronte alla gravidanza, è un uomo che sperimenta tutti i limiti umani, dall’egoismo all’orgoglio, per poi superarli e accettare il corso delle cose. Nonostante l’intenzione del regista di alternare l’identificazione dello spettatore a tratti con un personaggio, a tratti con l’altro, il fuoco della telecamera sembra più spostato su Laura. I suoi corali ritornano incessantemente in tutto il film. 

Decenni di femminismo, famiglie allargate e serie televisive hanno stravolto alcuni tabù, come la violenza carnale concepita come vergogna per la vittima o la paternità come demarcazione fisica del territorio maschile. Viene allora da chiedersi se abbia  senso portare oggi al cinema l’Innesto nella sua versione pura, una storia fortemente moderna nel 1919 ma che non tiene conto dei mutamenti sociali e culturali. La ferita di una donna violentata rimane invariata nel tempo, ciò che cambia è la reazione degli altri, l’accettazione sociale. Oggi le adozioni e le ultime tecniche di fecondazione artificiale ci costringono a ridefinire i concetti di paternità e maternità e a riconsiderare l’eterno conflitto uomo-donna. Lo stesso titolo La scelta, più neutro dell’Innesto, alleggerisce il peso di un dramma che non ha più la stessa esplosività sociale. La scelta etica pone anche l’uomo più intelligente e colto di fronte alla difficoltà di rispondere. Indagare nella psiche umana non vuol dire, però, seguire l’intero processo mentale che porta alla decisione finale. Il dramma di Laura e Giorgio sfinisce anche lo spettatore che stenta a lasciarsi coinvolgere. Placido segue uno schema narrativo che si ripete sempre uguale e troppo a lungo. La fuga di lei, l’inseguimento di lui, l’incontro tra le strade di Bisceglie e poi di nuovo la separazione a volte esageratamente melodrammatica, si ripetono come in un vortice di follia e delirio, infine noioso. Originale e alta, La scelta di Michele Placido insegue con fatica un’anelata spiritualità. Laura e Giorgio però, non sono Sibilla Aleramo e Dino Campana, il loro Viaggio chiamato amore mantiene l’intensità ma non la potenza del dramma.  

La scelta – Clip

 

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