Teatro. Intervista a Sofia Bolognini, vincitrice del premio Cendic

ROMA – Si può innovare la tradizione?  Adattare ai nostri giorni un classico sfidando quanto  considerato sacro e intoccabile? La risposta è sì, ma ovviamente serve talento con una buona dose d’ incoscienza.

Elementi presenti nella scrittura di Sofia Bolognini, vincitrice del prestigioso Premio di drammaturgia teatrale Cendic Segesta 2016, con il dramma “Figlie d’Egitto, ovvero Le Supplici”. 

La sorpresa del premio è tanto nel testo quanto nell’autrice, poiché a soli 23 anni è laureata in Filosofia, iscritta al corso di Laurea Magistrale in Teatro Cinema Danza e Arti Digitali e diplomata in Regia Teatrale presso l’Istituto Teatrale Europeo.  Molto per  la sua età? No, perché Sofia ha alle spalle maestri come Eugenio Barba, Mamadou Dioume, Hal Yamanouchi, Stefano Benni, Rodolfo di Giammarco e la compagnia teatrale Motus.

Non bastasse, insieme al compagno Dario Costa, Sofia Bolognini ha fondato il collettivo di arti performative Bologninicosta (bologninicosta.com), i cui spettacoli “Romeoegiulio” e “La Cattività”, dei quali è autrice, sono andati in scena nel 2016 in Italia e all’estero aggiudicandosi molti premi. Ed è tra i cinque selezionati di Network Drammaturgia Nuova 2016-17  con il testo “Odissea Punto Zero”. Straordinario se si aggiunge che ha pubblicato due romanzi, il primo a 16 anni. 

Le abbiamo rivolto qualche domanda per capire dove e come nasce il suo talento.

Con l’opera  “Figlie d’Egitto, ovvero Le Supplici”  hai vinto a 23 anni il premio di drammaturgia Cendic-Segesta. Cosa significa questo riconoscimento e quali nuove esperienze porterà?

La vittoria del premio Cendic-Segesta ha significato per me una grande svolta professionale. Oltre al riconoscimento, di cui sono onorata, anche e soprattutto per la grande opportunità che il Premio mi ha dato: la possibilità di allestire lo spettacolo assieme alla mia compagnia bologninicosta, con una produzione di nome e di livello (il Centro Teatrale Meridionale di Locri),  debuttando al Festival Dioniasiache in uno dei teatri a mio avviso più belli d’Italia. Per tutto l’anno sono stata seguita, incoraggiata e difesa dal CENDIC contro mille difficoltà affinché il progetto andasse in porto. E così è stato. L’opera è stata presentata a Febbraio sottoforma di reading al Teatro Argentina con i ragazzi della Scuola di Perfezionamento di Teatro di Roma. A Luglio sono iniziate le prove negli spazi di Biblioteche di Roma. E anche se il debutto deve ancora venire, sento già di aver vissuto una delle esperienze più felicemente devastanti della mia vita. Dove mi porterà tutto questo non so. Di sicuro mi porterà il 3 Agosto al teatro antico di Segesta, e in quel tramonto piangerò a dirotto. È già abbastanza. 

Parlaci della genesi dell’opera vincitrice e di cosa desideri trasmettere.

Le Supplici di Eschilo è un’opera irresistibile sotto molti punti di vista. L’incontro/scontro tra due due modelli antropologici archetipici (il modello maschilista e imperialista, patriarcale e il modello matriarcale, fondato sulla cura e sulla coappartenenza); la condizione dell’esiliato, dell’immigrato, dello straniero in terra straniera. Sono tematiche dense, in cui è pericoloso immergersi senza scadere nell’ovvietà, nel già dato. Ma soprattutto, ciò che rende quest’opera tanto affascinante è la sua incompletezza. È un testo parziale, frammentato, perduto. È un testo già mistero. Per questo l’ho scelto: affrontandolo nella riscrittura ho cercato di ricostruirlo, ma lasciando che rimanesse sempre un passo avanti a me, per non tradirlo, per preservare il mistero. È questa attrazione che spero di portare in scena con una regia sottile, elegante, equilibrata, tesa e sospesa. 

Hai pubblicato due libri, uno a soli 16 anni e l’altro uscito a gennaio di quest’anno. Qual è il tuo approccio con la prosa e con la scrittura teatrale?

Sono due approcci completamente diversi. Scrivo racconti da quando sono bambina, ho studiato e letto moltissimo. Questa confidenza con la parola scritta mi ha portata nel tempo ad una totale fiducia nei confronti della pagina bianca. So che, in un modo o nell’altro, mi condurrà sempre dove desidero andare. Per questo quando mi occupo di narrativa, lavoro senza filtri. Esploro la pagina bianca alla ricerca del tesoro che certamente si nasconde da qualche parte. E in questa ricerca, non ho altri strumenti che l’istinto. La scrittura teatrale, cui mi sto dedicando solo da qualche anno, è una cosa completamente diversa. La parola teatrale pesa come un macigno e nella sua compattezza, definitività e splendore è una perla rara da trovare, difficile da sostenere e da posizionare in una struttura. Ho quindi bisogno a monte di chiarire a me stessa una trama, dei personaggi. Il drammaturgo è un architetto: sa bene che un cattivo progetto farà crollare le mura. E così, un drammaturgo sa che la parola teatrale si regge sul silenzio. È la scrittura del non-detto, e in questo vuoto, in questa mancanza, racchiude tutta la pienezza del mondo. 

Parlaci del Progetto BologniniCosta.

Bologninicosta è un collettivo di arti performative, un progetto di ricerca sociale e artistica. Due anni fa ero una teatrante sperduta, laureata in filosofia. Ho incontrato il mio compagno Dario Costa, un musicista compositore anche lui senza direzione, laureato in Sociologia. Abbiamo semplicemente deciso di mettere a frutto le nostre competenze per uno scopo comune. Con bologninicosta cerchiamo di costruire alleanze, coinvolgere nel processo creativo giovani dalle differenti competenze anche extra-teatrali: come nel caso del progetto CANTIERI INCIVILI, attorno al quale hanno lavorato insieme a noi ricercatori sociali, video-maker e consulenti critici teatrologi per una ricerca sul tema della instabilità lavorativa dei giovani under 35 nel mondo dello spettacolo e non solo. In due anni di lavoro siamo riusciti ad ottenere il riconoscimento della Regione Lazio come progetto teatrale under 30 tra i primi dieci più notevoli della regione. Nello stesso anno il nostro primo spettacolo ROMEOeGIULIO sull’omofobia e l’amore contrastato è andato in scena al Teatro India ospite del Festival Dominio Pubblico, dopo la vittoria di premi anche internazionali. Abbiamo preso parte al progetto Ndn con la mia drammaturgia, lavorando per tutto l’anno ad una serie di residenze appartenenti al network di Idra e infine eccoci a Segesta per debuttare con la nostra prima tragedia greca. 

I tuoi progetti futuri?

Entro la fine dell’anno speriamo di chiudere il progetto CANTIERI INCIVILI, sul quale stiamo lavorando da oltre un anno e mezzo, e che ha portato alla realizzazione di una serie di performance e uno spettacolo completo dal titolo ST(r)AGE, con la coproduzione del Nuovo Cinema Palazzo. L’ultimo lavoro che chiude il percorso sarà RANCORERABBIA. Il testo ha già vinto il Primo Premio di drammaturgia nazionale e internazionale l’Artigogolo in collaborazione con il DO IT festival, ed è stato ospitato sottoforma di primo studio al Festival Inventaria. Questa sarà per noi la prossima tappa. Per quando riguarda il futuro, se mi costringo a pensarci per più di tre minuti consecutivi rischio di svenire. Non sono troppo ottimista, sono figlia di operai e so benissimo di non avere la stoffa (soprattutto economica!) per fare questo mestiere. E tuttavia, ho il grande vantaggio di non ambire a nient’altro se non alla mia serenità. Il mio sogno più grande per il futuro, è quindi abitare un luogo, un “bologninicosta atelier”, una casa base dove poter continuare i miei studi e affinare la mia creatività, coinvolgendo le comunità locali, dando vita a progettualità comuni infra-associazioni, condividendo competenze acquisite in una sorta di laboratorio permanente di cultura ed arte che diventi un vero punto di riferimento per il luogo in cui si insedia, un servizio pubblico di e per tutti e tutte. 

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