Paolo Sorrentino ci ha fatto la grazia e ora sappiamo finalmente tutto del suo misterioso film che ha pomposamente aperto l’82esima edizione della Mostra d’arte cinematografica della Biennale di Venezia. (Mostra e non festival, secondo la versione che il presidente della Biennale Pietrangelo Buttafuoco ha ripetutamente opposto, con la speranza che la precisazione entri nell’uso corrente dei media, più che del pubblico).
Fino al giorno in cui La grazia è stato proiettato in una visione riservata alla stampa non era stato possibile sapere quasi nulla della trama. Ed erano fioccate le supposizioni. La prima: è un film d’argomento religioso, a fare la grazia ad uno dei personaggi principali è il protagonista nei panni di San Gennaro, di cui Paolo Sorrentino, da bravo napoletano, è fervente devoto.
La seconda più plausibile: San Gennaro non c’entra niente, la grazia è quella presidenziale che un Capo dello Stato concede ad un condannato che merita qualche considerazione, perché non è un volgare assassino. Allora è un film politico? Come lo sono Il divo e La grande bellezza?

Ma qui non c’entra Giulio Andreotti né altri politici di varia estrazione, anche se l’attore che interpreta il protagonista è lo stesso, Toni Servillo, ormai attore consacrato al cinema di Sorrentino, come di rado è successo in Italia con altri attori, con la sola eccezione di Mastroianni con Fellini.
Per legge la grazia in Italia, che pure ha cancellato la pena di morte dal codice di pace e rimane in quello militare, la concede il Capo dello Stato: un atto di grande responsabilità soprattutto per un presidente come Mario De Santis, il personaggio del film arrivato a fine del suo mandato settennale.
E il caso è doppiamente delicato. Perché la concessione della grazia presidenziale è legata ad un disegno di legge che il Parlamento ha appena votato e che aspetta la firma presidenziale. Riguarda l’eutanasia, che in Italia è pratica non consentita dalla legge, bisogna andare in Svizzera, e anche chi ti accompagna nelle cliniche che svolgono questo servizio in Italia è passibile di reato penale.
Un argomento di stretta attualità: non c’è giorno che le cronache non riferiscano di casi drammatici, di cui è protagonista una persona gravemente ammalata e decisa a porre fine ai suoi giorni a causa delle sofferenze che la straziano.
Questo il tema che Sorrentino affronta nel suo film in concorso a Venezia e sul quale convergono le prime indicazioni della critica. Vincerà un premio importante? E’ presto per dirlo, anche se qualcuno si aspetta fin d’ora che La grazia sia segnalato a dovere quando si dovrà decidere su quale film rappresenterà l’Italia alla serata hollywoodiana degli Oscar.
Intanto, a Venezia il film è piaciuto e il regista ne ha dato una definizione che ha colpito: “E’ un film d’amore, questo motore inesauribile che determina il dubbio, la gelosia, la tenerezza, la commozione, la comprensione delle cose della vita, la responsabilità”.

Spiega il regista visibilmente soddisfatto dei primi commenti favorevoli sussurrati fra le file della conferenza stampa: “L’amore e le sue articolate diramazioni sono viste e vissute attraverso gli occhi del mio personaggio principale, Mariano De Santis, presidente della repubblica verosimile ma rigorosamente inventato. E’ un Capo dello Stato, in procinto di andare in pensione, vedovo con una figlia, Dorotea, giurista, che gli sta molto vicino nonostante le distanze generazionali, ama il diritto penale che studiato per tutta la vita: dietro il suo aspetto serio e rigoroso, è un uomo d’amore”.
La grazia, nelle parole stesse del regista di solito più taciturno, e per una volta finalmente disposto a parlare del proprio lavoro, “è un film sul dubbio, su un dilemma morale: concedere o meno la grazia a due persone che hanno commesso degli omicidi in circostanze forse perdonabili, e firmare o non firmare da cattolico una legge difficile sull’eutanasia”.
Non è Mattarella e nemmeno Scalfaro o altri ex-inquilini del Quirinale il presidente Mariano De Santis inventato da Sorrentino e interpretato da Tony Servillo (mentre Anna Ferzetti è la figlia) ma molto si avvicina.
“E’ un uomo mosso dal dubbio – spiega il regista – sulla necessità di praticarlo soprattutto in politica e, soprattutto oggi, in un mondo dove i politici si presentano troppo spesso con il loro ottuso pacchetto di certezze che provocano solo danni, attriti e risentimenti, minando il benessere collettivo, il dialogo e la tranquillità generale”.
Le parole di Sorrentino erano ancora nell’aria che dalle finestre del palazzo del cinema entrano dalla strada i clamori della manifestazione pro-Palestina che ha portato anche quest’anno nelle ovattate sale di proiezione della Mostra di Venezia l’eco di una realtà sconvolgente che non sempre il cinema sa rappresentare.