Intervista: Massimo di Taranto racconta la sua Ucrònia, un romanzo distopico con riferimenti autobiografici

ROMA – Dopo l’interesse editoriale suscitato dai romanzi incentrati sulle vicende investigative del commissario Colasanti, l’autore Massimo Di Taranto esplora un nuovo ambito letterario con Ucrònia, quello del romanzo distopico. Ne parliamo direttamente con l’autore.

Ucrònia, la scelta di questo titolo ha qualche significato sotteso?

«Vorrei riassumere in una parola il contenuto del romanzo: si tratta di un’opera ambientata prevalentemente nella Roma di un 1951 alternativo. Si chiama così perché è il tempo che diverge da quello reale mentre lo spazio rimane sempre lo stesso: di qui il termine che da nome al romanzo – Ucrònia – che in greco antico significa “senza tempo”.

In realtà avrei dovuto chiamarlo Ucronìa, per rimanere fedele alla parola greca, ma quell’accento posto sull’ultima sillaba mi risultava cacofonico, così mi sono rifatto alla fonetica della parola inglese Utòpia. In questo tempo alternativo, l’Italia non sopporta le conseguenze di una guerra mondiale persa; la stessa Capitale è priva dell’Altare della Patria, sostituito da un “monumento alla Pace”: un’enorme croce in travertino alta circa 150 metri cui si accede salendo un numero di gradini pari ai giorni in cui è durata la guerra mondiale a cui il nostro Paese fortunatamente non ha mai partecipato; e persino la Spina del Borgo rimane quella che c’era prima che, nella nostra realtà fosse abbattuta dal regime fascista per la costruzione di via della Conciliazione ».

Si può definire Ucrònia come un romanzo distopico, ma anche come un’allegoria di certe dinamiche di potere in vigore nella società contemporanea dominata da logiche “clientelistiche” e poco meritorie. A suo avviso, è davvero così ?

«L’Italia è storicamente il Paese delle corporazioni: tradizionalmente si fa riferimento al XII secolo come periodo in cui si formarono le prime corporazioni di arti e mestieri deputate alla difesa degli interessi di coloro che ne facevano parte; in realtà vi sono tracce di corporazioni persino nel periodo dell’Antica Roma, sostituite progressivamente dalle confraternite religiose con l’avvento del Cristianesimo; ma si tratta di un fenomeno antropologico: non è che gli altri Paesi possono dirsi esenti da questo fenomeno, anzi… La logica clientelare è nata con l’uomo e la meritocrazia è a mio parere un’utile valvola di sicurezza cui il sistema di potere costituito, periodicamente ricorre, per dare l’illusione dell’efficienza e della efficacia; un sistema meritocratico sarebbe deleterio, in quanto farebbe infatti venire meno il formidabile sistema di controllo basato sul ricatto posto nei confronti di chi gestisce il potere “per grazia ricevuta”. Una persona preparata che, al contrario, ha raggiunto una determinata posizione grazie ai suoi meriti sarebbe fondamentalmente libera e quindi di difficile gestione.»

Che cosa ci può dire in merito alla caratterizzazione del protagonista Marsili?

«Marsili è il prototipo del funzionario che non avendo santi in paradiso, si arrangia come meglio può tra i flutti del mare in tempesta nel quale sistematicamente si trova, come ho scritto nella premessa: è un “funzionario figlio unico”, cioè senza sorelle… né fratelli.

Passa da una vicissitudine all’altra, affrontando situazioni sempre peggiori: viene persino accusato di bigamia grazie all'”intromissione” di un cappellano militare per una vicenda del passato e gli viene intimato di lasciare la moglie e le due figlie perché il suo secondo matrimonio sarà annullato; mal sopportando quella che lui ritiene essere una vera e propria ingiustizia gratuita, trova per caso un libro sul misticismo islamico in cui sono indicate alcune tecniche di meditazione piuttosto efficaci che lo porteranno a “spostarsi” in una realtà alternativa. Inizierà a scrivere un diario dove riporta le sue esperienze nell’altro mondo, dove ben presto scoprirà che la sua situazione è assai peggiore di quella da cui voleva sfuggire. In realtà, non è possibile fuggire da sé stessi: bisogna cambiare intimamente e profondamente per trovare una realtà esterna a noi favorevole. Il libro sul misticismo suggerisce infatti molto chiaramente a Marsili che è ciascuno di noi a crearsi la propria realtà quotidiana: un messaggio che evidentemente lui non lo comprende, finché non ne fa esperienza sulla propria pelle, in maniera piuttosto dolorosa.

A chi consiglierebbe il suo romanzo?

«A tutti coloro che lavorano in un ambiente lavorativo problematico e che sia collegato a logiche clientelari e corporative di cui ovviamente loro non ne sono parte integrante. A chi lavora nelle forze dell’ordine o nelle forze armate e ha avuto anche per un solo istante l’idea di farla finita, non riuscendo a sopportate le vessazioni cui viene sottoposto da un ambiente ostile; del resto, con una pistola a disposizione basta poco per prendere decisioni ineluttabili …»

Ha in programma un seguito di questo filone “distopico” o pensa di proseguire con le vicende del commissario Colasanti?

«Al momento, sto scrivendo il secondo seguito de “Le indagini del commissario Colasanti”. Dopo il primo seguito – “Le verità del commissario Colasanti” – che ho auto-pubblicato sei mesi dopo “Le indagini” (  tutti  i romanzi  sono disponibili solo sulla piattaforma digitale amazon.it ) avevo intenzione di sviluppare alcuni spunti narrativi nati proprio durante la stesura de “Le verità del commissario Colasanti”. Del resto, Colasanti non sta mai fermo e non perde occasione per fare danni! Tuttavia, non escludo un seguito anche di Ucrònia, essendo la capacità creativa della mente umana praticamente illimitata.»

In questo romanzo c’è una componente autobiografica?

«Sicuramente. Ho preso spunto da episodi che si sono davvero verificati nella mia vita professionale o ai quali ho assistito di persona, esacerbandoli o esaltandoli a livello romanzesco; certo, se tutto ciò che ho scritto fosse vero, se in altre parole, non avessi cambiato di una virgola l’esperienza vissuta nelle forze dell’ordine, facendo quindi una autobiografia mascherata, addirittura, da romanzo distopico, difficilmente il lettore crederebbe che un carrozzone così assurdo – come quello della Polizia di Stato descritto in Ucrònia  – possa gestire la sicurezza e l’ordine pubblico del Paese.»

Quale messaggio vorrebbe che il suo romanzo trasmettesse al lettore?

«Che la realtà è soggettiva e che, fatte salve le interferenze che producono le varie consorterie esoteriche nel loro instancabile lavoro di farsi sempre e comunque gli affari loro a discapito degli altri, si può cambiare la nostra vita perché siamo noi ad esserne gli esclusivi artefici. I fattori esterni, in pratica, sono illusori.»

Come si definirebbe in una parola?

«Un visionario».

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