Libri. “Alexandros”: quando fu Alessandro Magno a dover lasciare l’Afghanistan

Da quando è deflagrata la crisi afgana, le quotidiane cronache televisive ci rimandano ogni sera immagini di quel paese orientale che mostrano paesaggi tutt’altro che accoglienti: montagne brulle, inospitali zone desertiche appena punteggiate da piccoli centri abitati da pastori, contadini, tribù nomadi.

Un paese che facciamo fatica a capire perché da decenni sia tormentato da sanguinosi conflitti, da guerre fratricide, da rivalità di carattere religioso, tanto povero sembra da non potersi permettere il lusso di spendere in armamenti. Un paese, l’Afghanistan che, al contrario, è sempre stato oggetto dell’interesse di forze straniere che vi si sono avvicendate per possederlo quasi fosse una ridente Svizzera d’Oriente. Come s’è visto, solo negli ultimi decenni la temibile armata rossa della già pericolante Unione Sovietica prima, e gli eserciti di una coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti poi hanno varcato i confini afgani per prenderne possesso.  In entrambi i casi le cose sono andate diversamente: gli stranieri sono stati ricacciati, il comando è tornato ogni volta agli afghani. Probabilmente, prima o poi ci proverà qualcun altro, (gli analisti internazionali sospettano della Cina o della Turchia)  a mettere le mani su Kabul, e saremo daccapo.

Era successo anche molti secoli fa quando protagonista di un’invasione entrata nella storia fu Alessandro il Macedone, che partito dai confini della Grecia arrivò fino a toccare i deserti dell’India dopo aver attraversato con un’imponente armata di migliaia di fanti e di cavalieri le allora fertili terre della lontana Mesopotamia, “la terra tra i due fiumi”, il Tigri e l’Eufrate e ancora oltre. Compreso l’Afghanistan.L’impresa militare che al macedone Alessandro procurò il titolo di Magno è minuziosamente raccontata da Valerio Massimo Manfredi in un romanzo storico che vide la luce per Mondadori nel 1998 e che ora torna ai lettori per i tipi del Corriere della sera in tre volumi in questi giorni in vendita a euro 8,90 l’uno nelle edicole sotto il titolo Alexandros. Un’occasione da non perdere per chi ama la materia.

I lunghi mesi di lock-down hanno fatto registrare un dato finalmente positivo, un incremento sensibile delle vendite dei libri, sia nelle edicole che nelle librerie. Si susseguono negli annunci le serie storiche da comprare in edicola a cadenza settimanale. L’Alessandro Magno di Manfredi è fra i più interessanti. Lo segnaliamo ai lettori ogni sera bombardati da telegiornali zeppi di cronache dall’Afghanistan in guerra. Scopriranno così che quello è sempre stato un paese di difficilissima gestione da parte di qualsiasi straniero, perché popolato da tribù guerriere fieramente decise a contrastare ogni ingerenza esterna, in nome della religione o dell’amor di patria o semplicemente per tema di perdere la libertà. 

 Alessandro Magno si accorse a spese sue quanto fosse arduo affrontare in battaglia quelle popolazioni che già allora guardavano con odio all’occidente. Era il terzo secolo prima di Cristo ma le cose, a guardare bene, in più di duemila anni non sono molto cambiate. Il sogno di conquista del mondo che spinse Alessandro Magno a quelle lontane latitudini si infranse dinanzi alle difficoltà incontrate sul campo di battaglia. Ma per lo meno Alessandro Il Macedone è entrato nella storia, più o meno dalle parti dell’Afganistan di allora ci rimise la vita a soli 33 anni, l’Armata rossa a Kabul ci ha perso anche la faccia, per non dire della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti che per poco non è costata la poltrona al capo della Casa Bianca. 

La minuziosa descrizione della spedizione militare di Alessandro il Grande e del lungo viaggio fra quelle terre sconosciute e ostili è una caratteristica dello scrittore Valerio Massimo Manfredi, che è soprattutto un archeologo specializzato in topografia antica.  Per un caso curioso della vita, come il suo eroe macedone di cui descrive la forza del combattente nelle imprese guerresche ma anche la debolezza del sognatore, che rischia la vita ad ogni tenzone, anche Manfredi se l’è vista brutta, pochi mesi fa, quando la sua abitazione in Trastevere è stata raggiunta da una fuga di gas che fece finire lo scrittore all’ospedale con grave rischio per la vita. Scampato pericolo, come quelli ai quali è ogni volta sfuggito il suo personaggio nella movimentata carriera di condottiero. Sopravvissuto più volte ad attentati. ferito anche gravemente, ha portato avanti la sua impresa fino ai confini del mondo conosciuto e solo quando ha raggiunto la remota India si è deciso ad imboccare la via del ritorno. Ma il destino era ormai segnato: minato nella salute, demoralizzato nel vedere i suoi generali non più convinti a seguirlo ovunque, Alessandro Magno si è spento in una delle tante città che armi in pugno aveva conquistato e distrutto (e altre ne aveva fondate con il suo nome: ci sono state tante Alessandrie in quel mondo lontano da noi nel tempo, la più famosa resta quella d’Egitto, dove sorge la monumentale tomba del condottiero). 

Il racconto di Manfredi del lungo viaggio del Macedone è affascinante perché la pagina scritta ci riporta si può dire ai giorni nostri, che vedono le forze militari straniere dislocate in Afganistan facile preda della guerriglia e del terrorismo messo in atto da indomabili bande armate, esattamente come tre secoli prima di Cristo era toccato ad Alessandro. La storia si ripete ma l’umanità non se ne accorge e continua a sbagliare.

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