È nata a Roma ma vive negli Stati Uniti, si è laureata in fisica alla Sapienza e oggi lavora alla Nasa. Non ha ancora 40 anni, e di tanto in tanto torna a casa, a Roma, e sistematicamente viene intercettata dai giornalisti che si occupano di spazio, e ci scappa una bella intervista. Dazebao non è stato da meno, l’occasione non era da perdere. La incontriamo al Centro Studi Americani ad un convegno su “Spazio, scienza e leader-ship”.
Gioia Rau ha segnato il proprio destino quand’era ancora una bambina. In casa la vedevano sempre davanti ad una finestra aperta a fissare il cielo, di giorno con il sole al tramonto, la sera con le stelle che cominciano a brillare. “I miei avevano notato questa precoce curiosità, ma non immaginavano cosa avevo già in mente. Pensavano di cavarsela regalandomi un piccolo telescopio, ma non è bastato”.
Il racconto si fa stupefacente: “Avevo otto anni e dalla mamma mi feci aiutare a scrivere una lettera alla Nasa, si, proprio quella dove avevo saputo che lavorano gli astronauti”. Nella lettera la piccola Gioia non si fece scrupolo di chiedere agli americani di essere ammessa ad un loro “summer camp,” una sorta di campo estivo dove non si faceva altro che osservare il cielo.
Alla lettera la Nasa rispose, puntuale, che “erano spiacenti di non poter accettare la sua richiesta perché i summer camp sono riservati ai giovani americani. Intanto, tu studia e quando sarai grande verrai da noi”. E così è stato.
Da grande, oggi Gioia vive e lavora negli Stati Uniti proprio alla Nasa che non l’aveva presa da bambina. Con il massimo dei voti si è laureata alla Sapienza in astrofisica, e si è specializzata seguendo studi approfonditi in Germania, in Austria e infine in California e a 38 anni appena compiuti ha avuto un ruolo più dirigenziale che tecnico, e continua a fare ricerca con la squadra che dirige.
Entrando nei dettagli, spiega: “Ho imparato a guardare il singolo albero non l’intera foresta”. Da mesi la fisica romana sta studiando la fattibilità di costruire sulla superfice della Luna un insieme di telescopi con i quali spingere l’occhio umano fin nei più remoti angoli delle galassie.
Un progetto che definisce innovativo e visionario insieme, ma che prima o poi sarà realizzato: “L’universo è infinito – dice la Rau – ma l’uomo non smetterà mai di studiarlo e di scoprirne i segreti”.
Intanto si occupa di esopianeti, cioè dei pianeti che sono fuori dal nostro sistema solare. “Fra due anni la Nasa concluderà il Gravitational Microlensing, per studiarne l’atmosfera, poi intorno al 2040 con la mission Habitable World Observatory cercherà di indagare su eventuali forme di vita.
Comunque già oggi siamo in grado di lavorare con telescopi ultramoderni che osservano tantissime stelle insieme e raccolgono una grande quantità di dati. Per analizzarli ci sta aiutando l’intelligenza artificiale, anche se poi l’interpretazione scientifica tocca sempre allo scienziato”.
A Roma Gioia Rau si è fermata pochi giorni per una breve vacanza seguita al convegno. Tornerà mai in Italia? La domanda è d’obbligo, soprattutto in questi giorni che gli Stati Uniti di Trump stanno respingendo alle frontiere gli stranieri che chiedono di entrare in un paese che da sempre è stato il più ricettivo e ospitale al mondo.
“Tornerei volentieri in Italia ma qui da noi i traguardi sono impostati su tempi molto lunghi. L’Italia cura benissimo l’aspetto teorico, da noi si impara tutto dalla teoria ma poi si deve passare alla pratica. L’America fa benissimo proprio la pratica, e i suoi progetti più importanti come le missioni spaziali sono di natura internazionale. E a me piace il lavoro d’equipe. Forse un giorno, chissà, tornerò”.
Le stelle del cielo di Roma che l’avevano emozionata da bambina possono aspettare.



